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Kosovo, prove tecniche di incontro interetnico. Nel vuoto giuridico
Oblic, incontro con il sindaco Onu Laura Dolci: "I serbi? Non so che futuro avranno qui"
 

di LUCA FREGONA

   Laura Doci, 30 anni, lavora nella missione di pace dell'Onu in ex Jugoslavia e ora tecnicamente ricopre l'incarico di "amministratore comunale delle nazioni unite", di fatto è il sindaco Onu di Oblic, una cittadina in Kosovo di trentamila abitanti (albanesi in netta maggioranza, e  un 10% di serbi). Si chiama Laura Dolci, è bolzanina, ha 30 anni e un carattere di ferro. A lei spetta riportare l'ordine e riavviare la normale amministrazione dopo la tragedia della guerra. E' uno dei trenta funzionari che hanno il compito di amministrare altrettanti comuni e risponde direttamente a Bernard Kouchner, capo missione delle nazioni unite in Kosovo.
   In un territorio lacerato dall'odio etnico, Laura Dolci ha imposto la proporzionale nel pubblico impiego e il bilinguismo negli atti pubblici: "A me non interessa se uno è serbo o albanese. Il municipio è la casa di tutti, e tutti vanno trattati allo stesso modo". Una posizione che non è piaciuta ai settori intransigenti del nazionalismo albanese. Alcuni uomini hanno cercato di entrare in comune ed aggredirla. Per difenderla è intervenuto il contingente norvegese della Kfor. "Due settimane fa ho dovuto chiedere una postazione fissa davanti al municipio". 

   Dottoressa Dolci, compito difficile il suo.

   Sono arrivata in Kosovo in ottobre, quando il grande entusiasmo per la liberazione dall'esercito serbo era già passato. I kosovari hanno capito che, almeno per il momento, non possono ottenere l'indipendenza. Per questo hanno accettato il regolamento dell'Onu che uniforma i comuni del Kosovo, e blocca la continuazione di "sistemi paralleli".

   Sistemi paralleli? 

  Prima della guerra gli albanesi, che erano esclusi dell'amministrazione, avevano sviluppato un sistema di governo clandestino esteso e capillare, parallelo a quello serbo. Coinvolgendoli nell'amministrazione, cerchiamo di sopprimere questo governo ombra, in modo che il territorio venga gestito da un'autorità unica e riconosciuta.

   Oggi, nel suo comune, questa autorità è lei.

   Siamo a tutti gli effetti il governo, e decidiamo su qualsiasi cosa: dalla ricostruzione delle strade alla distribuzione degli aiuti, dall'emissione dei certificati nascita alla raccolta dei rifiuti. Non lo nascondo, è dura: molte volte mi trovo da sola a prendere delle decisioni complesse, poggiandomi giuridicamente sul vuoto.

   Come funziona il rapporto tra lei e le comunità locali?

   Da una parte c'è il consiglio comunale che ha solo poteri di raccomandazione. E' composto da rappresentanti dei partiti e della società civile. Io lo presiedo. Posso tenere o meno conto delle sue risoluzioni, ma ,fino a quando non ci saranno elezioni, ho l'ultima parola su tutto. Poi c'è il consiglio amministrativo (l'esecutivo), che fa sempre capo alla mia autorità. Sotto di me c'è il presidente del comune (un albanese) e il vicepresidente (che dovrebbe essere un serbo, ma la carica è vacante), e poi i direttori dei dipartimenti municipali, paragonabili ai nostri assessorati.

  Per una popolazione musulmana e rurale, non sarà stato facile accettare una donna al comando.

  Donna e giovane: credo sia stato uno choc per molti. Ma, vede, i problemi della gente sono essenziali: cosa mangio, come mi vesto, come mi scaldo. Manca l'acqua, non c'è la corrente. Se riesci a dare risposte concrete, l'autorevolezza la conquisti. La paura più grande è la mancanza di sicurezza e di norme certe. Una nota municipale su come si deve raccogliere la spazzatura è già un segnale positivo che indica la presenza di un'autorità.

   Oblic è una città "mista", come riesce a mantenere un equilibrio tra i gruppi etnici.

   Il regolamento comunale dice vagamente che bisogna avere una rappresentanza in grado di rispecchiare la composizione demografica e politica del comune. La rappresentanza multietnica viene incoraggiata, spetta però alla sensibilità del singolo funzionario vedere come e se applicarla. A Oblic, dopo infinite negoziazioni abbiamo deciso che su sei dipartimenti, quattro devono avere a capo degli albanesi e due dei serbi.

  Insomma, la proporz...

  Esatto: ho applicato la proporzionale. Ma non so se i serbi verranno mai ad occupare i loro posti. Il grande dilemma è proprio questo: come coinvolgerli? Non hanno firmato l'accordo sull'amministrazione onu e, di conseguenza, non partecipano alla vita istituzionale. 

   Gli albanesi come giudicano la sua equidistanza?

   Per fortuna, a capo del consiglio amministrativo c'è una persona molto in gamba. Siamo riusciti ad intenderci: se un serbo entra nel comune di Oblic, trova tutte le istanze e gli atti pubblici nella sua lingua. I portieri del municipio sono stati istruiti a dovere: gli ripeto alla nausea che devono essere gentili coi serbi, che tutti devono sentirsi a casa propria.

   Però i serbi non vengono...

   Iniziano. La prima persona che ha preso l'iniziativa di attraversare la strada, entrare in comune e parlare in serbo (e le assicuro, non è una cosa facile, vivono asserragliati), è stata una donna. Da allora le cose sono un po' cambiate. 

   Sempre le donne ad avere più coraggio.

   Le donne sono forti perché riescono a pensare al futuro dei loro figli. Grazie alla tenacia di due signore abbiamo riaperto la scuola serba nel centro della città. I bambini ci vanno scortati dai soldati norvegesi, però la scuola funziona. Queste donne, più che contro l'ostilità albanese, hanno dovuto combattere contro i propri uomini, che stanno al bar dalla mattina alla sera, si ubriacano e parlano della seconda guerra mondiale. Sono convinti, imbeccati da Belgrado, che non sarà più possibile una vita normale.

   Ma ci sarà mai "una vita normale" per i serbi?

   Non lo so, me lo chiedo tutti i giorni. Io però devo agire nel presente. E finché ci sarò, farò in modo che sia garantita la parità di diritti e trattamento. 
 


o Laura Dolci è nata a Bolzano. Studia scienze politiche a Firenze e si laurea con una tesi sulla decolonizzazione in India e Pakistan. Dopo la laurea, vince una borsa di studio e trascorre un anno in India. Rientrata in Europa ,lavora per due anni a Bruxelles per due parlamentari europei impegnati nella campagna contro le mine. Poi segue il corso della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa sulla preparazione del personale civile impegnato nelle zone di conflitto. Nel '96 il ministero degli esteri la chiama per partecipare al monitoraggio delle elezioni in Bosnia.  In Bosnia lavora per l'Osce, dopo un anno passa alle missioni di pace delle Nazioni Unite. Nell'ottobre scorso il trasferimento in Kosovo. 
 
 
 

 

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