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pensieri

Crimine, la tolleranza zero della sinistra
Il governo vara un nuovo pacchetto repressivo ma non parla di prevenzione sociale
 

di ZENONE SOVILLA

  L'allarme sicurezza ha colpito ancora. Il governo prepara un altro pacchetto ispirato da una riunione notturna della maggioranza. Walter Veltroni, leader ds, ne va già fiero: "Avremo ventimila agenti di polizia in più per le strade d'Italia, liberati dai compiti burocratici; si tratta di aspetti innovativi che si collocano nell'ambito dello sforzo che il governo sta facendo".
    Non meno enfatica la sottolineatura del presidente del consiglio Giuliano Amato, già implicitamente autocandidatosi quale premier anti-Berlusconi (!) da proporre agli elettori fra un anno: "Basta con le parole, basta parlare di pacchetti e basta con l'atteggiamento del quieto vivere. Serve maggiore inflessibilità", ha detto tra gli applausi all'assemblea della Confcommercio, richiamando tra l'altro il tragico fenomeno della "prostituzione schiavizzata". Amato ha insistito sulla necessità che sia percepibile un "meccanismo di sicurezza" per i cittadini; un meccanismo rappresentato "dalle donne e dagli uomini delle forze di polizia".

    Verrebbe da dire, fate o almeno dite anche qualcosa "di sinistra", per quanto scomodo possa risultare.

    Rispolverate almeno le vecchie ricette di prevenzione sociale del (micro) crimine che tanto ci allarma: investite un po' in prevenzione e in di reti di salvataggio (che vuol dire anche lavorare sulla distribuzione dei redditi) necessarie in questa corsa al massacro caratterizzata da scelte di politica economica e sociale orientate al neoliberismo globale che producono e produrranno sempre più povertà ed esclusione (con la crescente monetarizzazione e privatizzazione di tutto). Per non parlare dei danni enormi provocati dalle impostazioni proibizioniste (ipocrite e anche incoerenti, che generano, nel caso della tossicodipendenza, morte e criminalità macro e micro facendo in fondo il gioco dei narcocartelli).

   Non serve a molto riempirsi la bocca con lacrimose parole sul dramma delle ragazze-schiave che finiscono sulla strada, quando spesso all'origine di questi tragici percorsi c'è l'assenza di una seria politica dell'immigrazione e dell'accoglienza (per non aprire, naturalmente, il discorso sul fronte dei penosi meccanismi generatori della folta clientela). Queste cose un governo serio deve dire chiaramente, non rispondere a molto presunte emergenze sulla criminalità con le forme proprie del modello conservatore: emergenza continua e dilatazione infinita dell'apparato repressivo. In proposito, mentre diamo uno sguardo alle carceri italiane stracolme anche di italiani e stranieri spesso tossicodipendenti e pluricondannati per reati minori, abbiamo ben presente il caso dell'America, dove la scelta del sistema è di trasformare la repressione del crimine in un giro d'affari: invece di investire in prevenzione sociale si spendono soldi nel business repressivo-penitenziario (compresi mega-appalti a privati): chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori e vinca il più forte. 

  Certo, una ricetta appiattita sulla tolleranza zero può anche dare risultati, ma solo di brevissimo raggio, al prezzo di un plumbeo giro di vite poliziesco sull'intera società, di un calo generale di attenzione sulle grandi organizzazioni del crimine, di un'accentuazione della forbice aree urbane sicure/ghetti a rischio e di una più probabile diffusione sociale degli umori liberticidi (di sinistra?) alimentati dall'ignoranza diffusa sulle cause reali della criminalità di strada. In questo quadro di rigidità repressiva, si aprirebbe, tra l'altro, una prospettiva di esplosione della conflittualità sociale inespressa e imprevedibile nella severità culturale della tolleranza zero.

   Allora, il vero "meccanismo della sicurezza" di cui Amato ha parlato con tanta enfasi ai commercianti, se davvero l'obiettivo è ridurre l'esposizione sociale al rischio della violenza, non comincia con le divise per strada (che entro certi limiti, ovviamente, servono) ma molto, molto prima. Comincia con gli interventi diffusi nel territorio per sostenere le reti sociali che si vanno via via dissolvendo. E continua con l'impostazione di politiche economiche in cui chi guadagna poco o finisce temporaneamente per altre ragioni ai margini della società non sia spinto alla disperazione perché rientrare (da cittadino o da clandestino) è troppo faticoso. Il "meccanismo di sicurezza" è prima di tutto garantire il più possibile percorsi di dignità alle persone che vivono in un paese. E oggi non mi sembra si faccia il possibile. Anzi.

   Sarebbe auspicabile, poi, che i vari istituti di ricerca statistica e di indagine sociale - ben supportati dalle finanze pubbliche - fossero attivati su settori di inchiesta rilevanti al fine di offrire alla popolazione - e alla politica per quel che può servire - di questo paese un quadro completo della realtà delle cose quando si parla, per esempio, di criminalità (ma anche di reddito o di lavoro e delle sue relazioni con l'incidenza della morbilità e della mortalità). L'associazione degli indicatori del crimine con quelli delle diseguaglianze di reddito e di salute è comprovata. Il problema è che le statistiche spesso si prestano a rozze letture parziali; oppure non affrontano snodi centrali della rete sociale.

   L'insicurezza delle città italiane, per esempio, di cui si fa un gran parlare, risulta essere vera in termini di aumento dei morti ammazzati nelle metropoli in relazione alla crescita del numero di immigrati, ma questi morti ammazzati (fra di loro o dagli italiani) "sono stranieri, in percentuali più che decuple dei cittadini italiani", come scrive nell'ultimo numero della rivista Pocodibuono Francesco Ciafaloni, ricercatore dell'Ires di Torino.

   Le statistiche ci dicono che in molte città gli arrestati stranieri sono più degli italiani, così come ci dicono che rappresentano oltre un terzo della popolazione carceraria. Di solito non ci spiegano che generalmente in una popolazione a delinquere sono i maschi di età inferiore ai quarant'anni: categoria in cui gli immigrati sono chiaramente sovrarappresentati. Come non ci ricordano una banalità: che a finire più facilmente in prigione è chi non ha un buon avvocato, una rete sociale, la padronanza della lingua, la buona conoscenza delle norme,  come gli stranieri. Tuttavia, anche tenendo conto di questi elementi rimane una sovrarappresentazione degli immigrati nelle statistiche sulla criminalità. Ma, come spiega bene Ciafaloni, "quello che dalle statistiche non si vede è il gran numero delle distorsioni, dei piccoli incidenti, della permanente irregolarità dei documenti e della vita che caccia in galera stranieri non connessi alla malavita. E non si vede la gran mole di sofferenze, di drammi, che la irregolarità e la carcerazione producono".

   Dalla sinistra di governo, parlando di sicurezza - anche in campagna elettorale, ci si illude ancora di aspettarsi non uno sprint sulla destra ma una maggiore precisione e attività informativa di base sulla complessità del quadro e delle sue articolazioni. E quindi sulla necessità di risposte altrettanto articolate.
   Altrimenti la sinistra fa solo confusione e alimenta un inutile e dannoso polverone semplicistico, fuorviante, populista e demagogico che la destra da sola riesce già a portare a livelli insopportabili, come quando invoca una maggiore presenza di forze dell'ordine in uno dei paesi occidentali con il più alto tasso di agenti di polizia per numero di abitanti.


o Il business penitenziario
Nils Christie

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(22 giugno 2000)
 
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