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Cecenia: i Verdi e il loro impegno in calando
Sull'esperienza delle attiviste cecene con ciò che resta dei movimenti per i diritti umani
 


  "Una particolare attenzione per le attiviste cecene è stata riservata da Elisabeth Schrödter del gruppo Verde presso il Parlamento europeo. Con la mediazione della Fondazione Langer e del Gruppo Verde sudtirolese le attiviste cecene Sainab Gashajeva e Libkan Basajeva sono state accolte dalla signora Schrödter a Strasburgo. Quest’ultima fa parte di quello sparuto gruppo di attivisti verdi che solidarizzano con popoli perseguitati. Sono sempre meno gli esponenti dei gruppi verdi che, per via delle loro coalizioni nei rispettivi governi, si impegnano senza riserve per i diritti umani. La partecipazione dei Verdi alle tragedie delle vittime dei crimini di guerra è sempre più fiacca. 
Questo fatto si stava già delineando durante le discussioni a Bolzano, nell’ambito del festival internazionale “Euromediterranea” (26.6-02.07) organizzato dalla Fondazione Langer. Le attiviste cecene Sainab Gashajeva e Libkan Basajeva hanno tentato di convincere i partecipanti della crudeltà della politica della terra bruciata praticata dalla Russia in Cecenia. L’incredulità era scritta in faccia ai partecipanti dopo aver ascoltato raccapriccianti storie di massacri, stupri, torture, espulsioni forzate. Ascoltare le vittime: un dovere divenuto quasi un peso noioso. 

  Deludente anche il comportamento della presidente dei Verdi italiani, Grazia Francescato, che ha respinto e definito come non urgente la domanda di aiuto delle donne cecene. L’europarlamentare verde Reinhold Messner ha negato loro un colloquio; i preparativi per la sua imminente spedizione sul Nanga Parbat non gli concedono il tempo per cose del genere. 
 

   Strano anche il tentativo di presentare le attiviste cecene solo insieme con oppositori al regime russi. Profonda era la diffidenza nei riguardi dei testimoni oculari del terrorismo di stato russo. I loro racconti sono divenuti attendibili solo nel momento in cui Ella Poliakova, rappresentante delle madri dei soldati russi, ha definito la guerra in Cecenia una guerra coloniale russa. 
  Perché questa paura di credere a voci autentiche di vittime, di donne che collaborano con l’organizzazione “Memorial” che si occupa di diritti umani, con il presidente di “Memorial” Sergej Kovaliov e con le madri dei soldati russi?     Perché ci si spaventa davanti a delle donne che si impegnano per i valori democratici? Questo fatto è incomprensibile, anche perché la fondazione Langer quest’anno ha assegnato il premio Langer a Vjosa Dobruna, la pediatra kosovara che per dieci anni aveva svolto azioni di protesta nonviolenta contro il regime di apartheid serbo. Nella motivazione per l’assegnazione del premio si legge chiaramente che l’opinione pubblica mondiale non aveva preso sul serio questo tipo di resistenza. Solo la lotta armata dell’UCK è stata degna di attenzione. La stessa cosa ora succede in Cecenia. 
 

Già dopo la guerra del 1994-1996 la Cecenia è stata abbandonata al suo destino, come anche sono stati lasciati soli con i loro problemi i democratici ceceni. Una ghiotta possibilità per gli estremisti d’ogni parte. Un’evoluzione che viene vista con rammarico dai verdi nel Kosovo. Ma dove è la preoccupazione per gli avvenimenti in Cecenia? Per la fine del festival “Euromediterranea” la fondazione Langer con la formulazione di una risoluzione conclusiva ha finalmente realizzato che la Cecenia si trova in guerra. La risoluzione purtroppo manca di lungimiranza! Molto tardi ci si è accorti che le Cecene Sainab Gashajeva e Libkan Basajeva non sono nazionaliste antirusse. 
  Di sapore amaro è il fatto che l’ineccepibile testimonianza della russa Ella Poliakova è riuscito appena ad aprire il cuore e le orecchie dei partecipanti. Vittime e testimoni di crimini di guerra possono esigere solidarietà solamente se la loro irreprensibilità viene riconosciuta da terzi? Il marchio di ”vittime” viene conferito a vittime di crimini di guerra da azionisti verdi solamente dopo aver superato l’esame? Questa grettezza è causata forse dal pregiudizio che i Ceceni siano dei nemici assetati di sangue dei Russi e per di più assoldati dai fondamentalisti islamici? 
 

  Un anno fa, il 4 di giugno 1999, una delegazione cecena è venuta a visitare il Sudtirolo. Volevano conoscere l’autonomia della provincia all’interno dello stato italiano. Un’autonomia come prospettiva per il futuro e non l’indipendenza per la Cecenia. Non si tratta di separatismo, come ci vuol far credere la Russia. 

  Un anno fa Vachta Demelkhanov, nella sua visita a Bolzano, aveva descritto la situazione del suo Paese ai collaboratori dell’Accademia Europea. Mostrando alcune vecchie cartoline illustrate, Demelkhanov aveva descritto la distruzione di Grozny. Mostrando le cartoline, l’ospite ceceno aggiungeva che gli edifici in esse raffigurati non esistevano più. Queste erano le conseguenze di due anni di terrorismo di Stato russo, tra il 1994 ed il 1996. 

   La politica della terra bruciata costò la vita ad 80.000 persone; cinquecentomila dovettero lasciare le proprie case. Villaggi, paesi e città furono bombardati senza pietà. I Ceceni furono internati nei campi di “filtraggio”. 

   I politici occidentali, diplomaticamente, tacquero. I governi conservatori furono apertamente solidali con la Russia. Si trattava di “affari interni russi”, e di un’azione contro la “mafia cecena”. In Germania solo i parlamentari socialdemocratici condannarono la brutale campagna di Eltsin; Joschka Fischer accusò la superpotenza nucleare russa di impiegare “metodi barbarici”. 

   La Cecenia, devastata, fu lasciata a se stessa. La nuova dirigenza, eletta sotto il controllo dell’OSCE, tentò la ricostruzione sulle rovine dei bombardamenti russi. Fu un tentativo disperato: Ichkeria (così i Ceceni chiamano la propria Repubblica) era isolata. Nessun Paese occidentale, anche per desiderio del presidente Eltsin, diede il proprio contributo. L’insuccesso del Governo ceceno rafforzò gli estremisti islamici. Quasi in modo preordinato, l’autunno 1999 insanguinò Mosca con una serie di gravissimi attentati. I politici russi e la polizia ne attribuirono la responsabilità ai Ceceni. 

  Svetlana Gannushkina, dell’organizzazione per i diritti umani “Memorial”, aveva osservato già nel 1996 che l’atteggiamento anticaucasico, in Russia, stava diventando la norma: un razzismo “socialmente corretto”. Gli attentatori non furono mai scoperti. Ma nessun problema per il Governo Eltsin: in Cecenia fu inviato l’esercito. In autunno cominciò la seconda guerra russa contro questa minuscola repubblica. Più di 10.000 persone vi morirono e metà degli 800.000 abitanti fuggirono. 

   È difficile e penoso elencare i crimini e le cifre di questa guerra, che sono chiaramente serviti ad insediare sul trono il successore di Eltsin, Vladimir Putin. Anche questa seconda guerra, che non è ancora finita e che non ha nessun risalto nel dibattito politico e nei media, ha danneggiato la debole democrazia russa. Elena Bonner, vedova del premio Nobel Andrei Sahariov, ha accusato Putin di condurre una “forma moderna di stalinismo”. Questa è la sua analisi: “Il Governo agisce in modo autoritario, la società si militarizza, nelle scuole si reintroduce l’educazione militare e la propaganda nazionalista ed antioccidentale è in crescita”. La Russia si comporta come la piccola sorella Serbia - gli attacchi dei Serbi contro i Musulmani di Bosnia e nel Kosovo erano stati mascherati da operazioni antiterrorismo. La grande Russia ha motivato con lo stesso stereotipo i massacri di civili ceceni come misure contro i fondamentalisti ed i terroristi islamici per “il ristabilimento dei diritti umani”. Stupri, torture, massacri bombardamenti ed espulsioni forzate sono strumenti per il ripristino dei diritti umani? 

   L’Europa Occidentale socialdemocratica tace in modo complice. Nel caso della guerra della Nato contro la Jugoslavia, si erano rispolverate posizioni antinaziste. Per i crimini russi in Cecenia gli uomini di Stato europei hanno solo giustificazioni e scusanti. Il Ministro degli Esteri italiano, Lamberto Dini, noto come partner del dialogo con Milosevic, ha dichiarato che in Cecenia regnerebbe nuovamente la pace. 

  Mentre il presidente ceco Havel e l’attivista russo Sergei Kovalëv parlano della liquidazione di un popolo, ovvero di genocidio, la Germania rosso-verde appoggia la Russia con 33 progetti militari. L’invio in Cecenia di collaboratori del servizio segreto federale tedesco BND a sostegno del servizio segreto russo FSB (erede diretto del KGB e dell’NKVD) nella lotta contro i terroristi islamici ricorda all’APM il patto tra Hitler e Stalin. 

   La Russia finanzia con i prestiti UE le sue guerre in Cecenia per il controllo del traffico petrolifero: causa scatenante dell’invasione del 1994 fu proprio la conclusione di un accordo sul petrolio del Mar Caspio da parte di un consorzio di multinazionali e l’Azerbaigian. La Russia, che partecipava all’affare solo per il dieci per cento, vide la possibilità di controllare quel traffico redditizio, nel caso che l’oleodotto attraversasse la Cecenia, che per questo doveva essere soggetta al controllo russo. Nel settembre 1994 le multinazionali occidentali e l’Azerbaigian concludevano i primi accordi e nel dicembre dello stesso anno la Russia incominciava a “pacificare” la Cecenia. 

  È incomprensibile il fatto che i prestiti in corso non siano stati subito congelati. Il ministro degli Esteri tedesco Fischer ha addirittura elevato un monito affinché la Russia non sia sanzionata. Questo grande paese non può essere demoralizzato, anche per via dell’aggressione nazista nella seconda guerra mondiale. 

   “Naturalmente la vaga idea che gli oltre cento popoli ed etnie nell’impero russo si sentano demoralizzati, nel caso non siano ancora sterminati, non è realistica né interessante”, ironizza la giornalista Irena Brezná sulle titubanze occidentali. La Brezná accusa la Russia di aver mutato l’internazionalismo russocentrico in sciovinismo grande-russo. 

   D’accordo con questa visione, nell’agosto del 1999, l’attivista russo per i diritti civili, Aleksandr Podrabinek: “la Russia deve rinunciare a ciò che ha occupato, deve ripristinare la giustizia storica e deve chiedere scusa ai popoli caucasici per secoli di repressione”. Queste voci sono una rara eccezione nella società della Russia postcomunista, che si dichiara democratica ma che è tenuta insieme da un antico razzismo. Un razzismo che secondo Svetlana Gannushkina, dell’associazione per i diritti umani “Memorial”, vede d’accordo l’Europa Orientale e quella Occidentale. Alla fine della prima guerra cecena, nel 1996, costei scriveva: “Non si ritrova forse una manifestazione della nostra comune xenofobia nella tranquillità con cui sia la maggior parte della società russa, sia di quella occidentale, hanno accettato i crimini russi nella guerra di Cecenia?”. Tutto ciò vale a maggior ragione per la guerra che è ancora in corso. Il commento di una donna cecena: “Perché per gli Europei valiamo meno delle balene arenate? Se fossimo una specie di animali rari, ci proteggerebbero volentieri” (da: Irena Brezná, Die Wölfinnen von Sernowodsk). 

   Non tacciono solo gli stati UE. La guerra cecena, per molti gruppi pacifisti che hanno criticato la guerra della NATO contro la Jugoslavia, non era neppure una notizia. Gli appelli delle associazioni per i diritti umani della Cecenia, e di altre parti del Caucaso, le richieste di aiuto di Memorial, delle Donne di Mosca contro la violenza, delle Madri dei Soldati, e del Centro per la Pace di Mosca non hanno quasi trovato eco. Questi appelli erano stati portati dall’APM alla conferenza OSCE di Istanbul nel novembre 1999. 

   Il tentativo più recente di stigmatizzare i crimini di guerra russi in Cecenia viene dagli intellettuali francesi. Il loro richiamo: “Va rotto il silenzio sugli assassinii in Cecenia”. Ma questo è riuscito solo in parte a Sainab Gashaeva ed a Libkan Basaeva, a Bolzano per l’Eurofestival, e poi a Strasburgo per un incontro col gruppo dei Verdi nel Parlamento Europeo; in compagnia di Andrei Mironov di “Memorial”, di Ella Poljakova e di Irena Brezná. 

   La delegazione di donne russe e cecene ha avuto maggior successo con l’Obmann della Südtiroler Volkspartei, Siegfried Brugger, che ha assicurato loro il proprio sostegno politico, promettendo di presentare in Parlamento a Roma una risoluzione sulla Cecenia elaborata da loro stesse (vedi testo), e di invitarle ad un’audizione in Parlamento. L’APM-Sudtirolo vuole ricordare a Brugger le sue promesse, e premere affinché la risoluzione sia presentata e le donne cecene siano invitate a Roma". 
 
 


o Riceviamo e pubblichiamo un comunicato dell'associazione per i popoli minacciati, che ha sede a Bolzano, e allega anche la seguente bozza di risoluzione da proporre al Parlamento italiano elaborata dalle
donne cecene. 

"Onorevole Ministro
degli Esteri, 
Onorevole Presidente del Consiglio dei Ministri, 
Onorevole Presidente della Commissione Esteri, 
Onorevoli colleghe e colleghi, 

guardate la città di Grozny. Dove sono rimaste le decine di migliaia di civili, dove i bambini, che non hanno potuto o ai quali non è stato permesso di fuggire? Si fa strada un'orribile risposta: anziani, donne, bambini, handicappati ed ammalati  giacciono fra le rovine, sepolti, soffocati, carbonizzati, dilaniati, fatti a pezzi, morti di fame, di sfinimento, di infezioni. I pochi superstiti devono temere ciò che hanno più volte subito gli abitanti di altre località della Cecenia. Devono temere di essere rapinati, torturati, violentati od uccisi. 

Per questi mortivi il Parlamento decide: 
1) di congelare ogni concessione di crediti alla Federazione Russa; 
2) di limitare i rapporti economici con quel Paese; 

Il Parlamento s'impegna inoltre: 
1) affinché la Russia sia sospesa dal Consiglio d'Europa; 
2) affinché la politica della Federazione Russa sia condannata a livello internazionale; 
3) affinché i dirigenti politici e militari della Russia siano chiamati a rispondere di fronte ad un Tribunale internazionale per i crimini di guerra; 

Il Parlamento decide infine 
di invitare in segno di solidarietà attiviste/i cecene/i per i diritti umani e rappresentanti delle Madri dei soldati russi. 

Se l'Unione Europea e l'Italia collaboreranno ancora strettamente con uomini politici che violano quotidianamente la Convenzione ONU sulla prevenzione e la repressione del genocidio, i valori dell'Europa saranno messi seriamente in pericolo. Il silenzio dell'Occidente sulla Cecenia danneggia i valori dell'Europa più della coalizione di governo che in Austria vede uniti i cristianodemocratici dell'ÖVP e i nazional-sciovinisti dell'FPÖ. Tutti i discorsi sul superamento del passato e tutte le celebrazioni della resistenza antifascista finiscono così
col perdere
ogni credibilità". 
 

 

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