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"Carcere per i poveracci e silenzio sulla macrocriminalità"
Lo scrittore Massimo Carlotto: intrecci illegali internazionali nell'economia del Nordest
 

  Lo scrittore Massimo Carlotto ha pubblicato recentemente il volume "Il corriere colombiano", edito da E/O, una storia di malavita che si snoda e si intreccia con l'anima della pianura veneta, i suoi fenomeni sociali e le sue sue storie personali, ma nasce dall'arrivo di un giovane spacciatore colombiano all'aeroporto di Venezia.

  Con Carlotto parliamo, innanzitutto, di uno dei temi di cui si occupa ultimamente Nonluoghi: il carcere e la critica al sistema penale.
- Qual è la tua opinione in proposito?

"Una cosa che dico da anni e cho anche scritto è che il carcere non serve a nulla. In moltissimi casi si potrebbero applicare pene alternative alla detenzione. Il problema della detenzione, come viene concepita oggi, dove il detenuto non studia e non lavora ma è rinchiuso 22 ore al giorno in una cella sovraffollata, è che si tratta di una scuola di delinquenza che continuerà a produrre marginalità.

- Hai qualche idea in particolare sulle alternative alla detenzione?

"Sì, tra l'altro ho lavorato anche nel volontariato rispetto al carcere e poi il carcere l'ho anche vissuto per cui ne conosco bene i meccanismi. Secondo me, la semilibertà andrebbe applicata in maniera generalizzata e con minori restrizioni rispetto ai reati. Per le pene minori, l'immediato affidamento al servizio sociale.
Il problema è che non c'è una traduzione in termini di produzione economica, cioè il fatto di affidare i detenuti ai servizi sociali e ai lavori socialmente utili non serve assolutamente a nulla.

- Dunque, secondo te la quantità delle persone che vengono messe in carcere oggi è esagerata rispetto alla gravità dei comportamenti che si intendono punire...

"Ne sono assolutamente certo. Noi non guardiamo, in realtà, quelle che sono le strategie poliziesche, cioè mettere in galera il maggior numero di persone possibile, quando c'è un certo tipo di indagine in piedi a livello nazionale, in modo da creare pentitismo. Oggi anche l'indurimento delle condizioni di detenzione è proprio legato a questo. C'è bisogno di una nuova generazione di pentiti e allora si rende invivibile la vita in carcere.

- Per quanto riguarda la percezione sociale del crimine: sembra sempre più dirottata verso la microcriminalità e forse le sfugge la macrocriminalità con tutte quelle forme più o meno border line, compresa la criminalità economica anche quando mahari è formalmente "legale". Su tutto questo, secondo te, perché non c'è maggiore attenzione dei mass media, dei commentatori, dei politici?

Secondo me è voluto. C'è un dato Onu che è essenziale: oggi le organizzazioni criminali transnazionali hanno un reddito annuale che è pari a 10 mila miliardi di dollari, tanto quanto il prodotto interno lordo dei paesi in via di sviluppo. Il grande problema di queste organizzazioni è lavare questa enorme quantità di denaro. Oggi l'Italia è una delle lavatrici più grosse. Esistono grandi accordi criminali transnazionali e oggi sembra proprio importante non parlarne per evitare di identificare l'Italia con un meccanismo ben preciso all'interno dell'economia criminale mondiale.

- E intanto ce la prendiamo con i "ladri di polli". Certo, nei reati correlati agli stupefacenti ci sono situazioni tragiche ma anche qui la sensazione è che alla fine finiscano in carcere i poveracci...

I poveracci anche perché non si vogliono aprire gli occhi davanti a una situazione ben precisa: che oggi il mondo dei tossicodipendeti è una sacca di marginalità ben contornata mentre il problema oggi, che è quello della cocaina e delle droghe sintetiche, è caratterizzato da un consumo occasionale. Per esempio il Nordest è caratterizzato da un consumo da parte di gente che studia o lavora dal lunedì al venerdì e dal venerdì alla domenica si sballa.

- A proposito di questo, veniamo ai temi del tuo ultimo romanzo, in cui si intrecciano gli ambienti della pianura veneta con il mercato internazionale della droga. Tu usi il racconto giallo anche per lasciare tracce dell'analisi che hai fatto qui poco fa. O sbaglio?

No, è giusto. Oggi il noir, il romanzo poliziesco, che in Italia viene chiamato giallo, è uno strumento straordinario per raccontare la realtà. Il noir racconta un fatto criminale in un determinato luogo in un determinato momento ma è una forma di radiografia della società di quel momento. Io infatti, come tanti altri, scrivo noir proprio per questo: non è che ci piace raccontare storie criminali, ma queste sono molto utili per descrivere la società che ci circonda, la realtà in cui viviamo.

- E tu come vedi questa realtà del Veneto, spesso liquidata semplicisticamente (e forse poco generosamente) come un luogo dove si pensa solo ai soldi e si è tendenzialmente xenofobi? Come la vedi, dietro questa maschera?

Appunto, è una maschera. In realtà, c'è un modello economico: la cosiddetta locomotiva Nordest. Un modello dove economia legale e illegale (con varie sfaccettature: dall'uso di manodopera schiavizzata come i cinesi che cuciono i jeans ai capitali accumulati perché non si pagano le tasse) sono complementari in maniera assolutamente perfetta. Quindi questa locomotiva è formata proprio dall'intreccio di queste attività e c'è poi l'insediarsi all'interno di tutto ciò di culture criminali che provengono da altri paesi, dall'Est ma anche dal Nord Africa, dalla Nigeria eccetera. E sono culture criminali che vivono benissimo all'interno di questo sistema economico. Insomma, è veramente di facciata il discorso xenofobo: in realtà i veneti fanno affari con tutti.

- E qual è la tua percezione della società, di là dal tessuto economico: è vero che si stanno degenerando i rapporti umani del tutto o si sta già costruendo una nuova rete sociale?

Sì sta costruendo una nuova rete sociale che è molto positiva e viene da lontano, non è casuale che nasca: il Veneto ha sempre avuto grandi tradizioni sia di lotta sia di solidarietà. Però è anche vero che questo tipo di nuova economia tende a distruggere tradizioni, soprattutto nelle campagne. Quindi è facile che nel quadro di questa perdita di tradizioni e di cambiamenti radicali dello stile di vita si possano insediare anche alcune forme ideologiche come quelle della Lega o quelle xenofobe alla Haider. Però in realtà il Veneto non è tutto questo, il Veneto è molto altro.

- Le tensioni sociali captate da partiti e movimenti che hanno sfoghi xenofobi egoistici si possono, andando alla loro origine, intepretare anche come tensioni libertarie che nessuna altro però riesce ancora a interpretare e tradurre e quindi finiscono lì invece di finire altrove, mediate dalla solidarietà?

Questo non lo credo. Io credo che siano sovrastrutture di un progetto economico che non a caso si sviluppa in quella zona. In una zona in cui esiste ancora un progetto vecchissimo, che ricordo dai tempi di scienze politiche a Padova, molti anni fa: l'Alpe Adria, unire Slovenia, Carinzia, Veneto e Friuli come un'area per unc erto tipo di modello economico che oggi a trent'anni di distanza si sta realizzando.

- Finiamo con un ritorno al principio. Il carcere oggi, secondo te, è al servizio delle istituzioni, che ne vivono, o della collettività?

Assolutamente delle istituzioni.

- E secondo te la collettività attraverso il carcere che cosa cerca: vendetta, rieducazione, dimenticare che esiste la criminalità, sperare di poterlo dimenticare?

Sperare di poter dimenticare. In realtà in altri anni, quando ci fu un forte raccordo fra collettività, nel senso di città, e il carcere le cose furono molto diverse e molti detenuti riuscirono a inseririsi di nuovo nella società. Oggi questo non c'è più, perché sono altri i bisogni istituzionali, come ho detto prima quello del pentitismo eccetera. Quindi si tende a recidere questo collegamento fra condannati e città. E poi, soprattutto rispetto al Veneto, c'è la tendenza a dimenticare.

(Zenone Sovilla)

 
 


o Massimo Carlotto (Padova, 1956) è uno dei più noti autore di gialli italiani, genere "noir mediterraneo" con atgtenzione agli aspetti sociali, politici e criminali che si intrecciano nella nostra area. 
L'ultimo romanzo, Il corriere colombiano,
edito dalle  Edizioni E/o (pp. 213, lire 25.000),
è il quarto della serie dell'Alligatore, il detective protagonista di alcuni dei libri
di Carlotto che per l'inizio del 2001 prevede la pubblicazione di
un volume di analisi  del Veneto.

Ascolta 
l'intervista

 

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