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Gli avvoltoi dei rifiuti

Avvoltoi. Qualche giorno fa sui mass media italiani è comparsa la notizia di una presunta “emergenza” energetica in Norvegia, a causa del calo di rifiuti indifferenziati da bruciare negli inceneritori collegati a reti locali di teleriscaldamento.
Il motivo dell'”emergenza”? Si ricicla troppo e ora tocca importare residuo/cdr dall’estero, malgrado in Norvegia continui ad aumentare la produzione pro capite di rsu (700 kg nel 2001, 800 dieci anni dopo, un trend inquietante), collocando il Paese nordico fra le pecore nere d’Europa.
Ecco, di fronte a questo scenario il main stream dell’informazione italiana ha colto l’occasione della notizia sulla scelta “obbligata” di importare rifiuti dall’estero per bruciarli in Norvegia, per dire di tutto e di più (sulla necessità di alimentare i “termovalorizzatori”). Quasi a lasciar intendere che loro sì che son bravi, importano spazzatura, altro che noi che non riusciamo a bruciare bene neppure la nostra.
Ma la stessa vulgata nostrana si è dimenticata di sottoporre al pubblico (pagante e non) l’osservazione più ovvia: che questa vicenda è un esempio di fallimento delle politiche di settore. Come dire, a volte anche i nordici sbagliano (e di grosso) ma noi non lo diciamo. Così come si tende a sorvolare sulla costante evoluzione tecnologica che consente – senza trattamento termico – il recupero di materia prima dal rifiuto residuo. Un’osservazione banale ma probabilmente sgradita ai circoli del ricco business italiano dei rifiuti bruciati e scandalosamente sovvenzionati con la bolletta elettrica di noi tutti, come se fossero fonti rinnovabili di energia.
Sei anni fa, per il mio documentario “Civiltà bruciata”, ero stato anche in Norvegia

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