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Ambiente, salute e veleni: l’allarme italiano e il ruolo degli ecologisti

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[Intervento al convegno “Il ciclo del rifiuto invisibile: gestione e prevenzione del rischio ambientale” con relazione di Enrico Fedrighini. organizzato dal gruppo consiliare dei Verdi in Comune e coordinato dalla presidente del Consiglio comunale, Lucia Coppola. Trento, 12 maggio 2017]

La storia anche recente del Trentino non è esente da episodi, talora assai gravi, di crimini ambientali.

I casi noti di maggiore rilevanza riguardano il traffico illecito di rifiuti industriali.

La vicenda più seria, con epicentro in Valsugana, è stata oggetto di tre inchieste giudiziarie della Procura di Trento e del Corpo forestale dello Stato.

L’indagine Tridentum nel 2008 mise alla luce la situazione della ex cava Zaccon di Roncegno: 400.000 tonnellate di rifiuti illeciti di vario tipo (anche sostanze pericolose, come lo stirene, solo il 6% era conforme ai limiti di legge)

Altri depositi illegali sono stati al centro dell’inchiesta Ecoterra (2009), mentre quella denominata «Fumo negli occhi» (2009) ha riguardato le emissioni nocive dell’acciaieria di Borgo Valsugana e la contaminazione di aria, terra e acqua nella zona.

Nel corso degli accertamenti di polizia emerse anche la situazione di una ex cava a Sardagna, sopra la città di Trento: 290.000 tonnellate di rifiuti contaminati provenienti da centro e nord Italia.

Nessuno dei siti interessati è stato oggetto di interventi di bonifica ambientale, i materiali contaminanti non sono stati rimossi.

Sempre a Borgo Valsugana, c’è un altro caso preoccupante: quello della ex cava San Lorenzo, sulla strada per la val di Sella: in mezzo al bosco esiste un deposito illegale di polveri di abbattimento fumi, sostanze che da anni sono soltanto coperte da teli. Un accorgimento che non sembra impedire la fuoriuscista di sostanze tossiche (come il cromo esavalente).

Soltanto per quest’ultima discarica abusiva (utilizzata da ignoti) si stima che la bonifica richieda una spesa di oltre 20 milioni ma al momento nessuno ci pensa.

Qui, se ci fosse il tempo, meriterebbe un approfondimento il capitolo dei costi sociali enormi  che il comportamento delle imprese di mercato, per massimizzare i profitti, trasferisce sulle casse pubbliche in termini di ripristino ambientale ma anche di assistenza sanitaria.

Nel frattempo, alla società di due imprenditori coinvolti nelle inchieste trentine (uno condannato in via definitiva per traffico illecito di rifiuti e l’altro andato a patteggiamento) la Provincia autonoma ha garantito contributo di 500 mila euro per un progetto di recupero ambientale.

Sempre sul fronte giudiziale, l’acciaieria ha patteggiato e concordato oblazioni per un piccolo risarcimento solo a una parte della popolazione residente in zona.

Ora è in corso un tentativo da parte del comitato di cittadini «26 gennaio» di intentare una causa legale per disastro ambientale.

Sullo sfondo, nella primavera 2017, c’è la crisi del polo metallurgico di Borgo Valsugana; ma il fallimento potrebbe essere evitato dall’intervento di nuovi acquirenti, comprese aziende a suo tempo coinvolte nelle inchieste sulle discariche abusive.

Da notare il vuoto e l’opacità delle azioni pubbliche sul piano della indagine epidemiologica nella zona (come peraltro in val di Non per gli effetti dei pesticidi): le uniche ricerche concrete si sono svolte a cura dei comitati popolari e evidenziano un quadro allarmante per la salute umana e dell’ecositema in generale.

Una di queste indagini (svolta nel 2013 dal medico Roberto Casppelletti)  ha fotografato, su base documentale, il quadro storico della morbilità e della mortalità fra gli operai dell’acciaieria, che risulta sensibilmente peggiore rispetto al dato medio provinciale (per i lavoratori del polo metallurgico un’eta media alla morte di appena 57 anni).

Si tratta di uno studio che si basa sull’analisi della la storia sanitaria di 342 operai impiegati almeno un anno nell’acciaieria di Borgo Valsugana, nel periodo 1984-2009: la conclusione contempla, fra l’altro, un  invito alle autorità a sottoporre tutta la popolazione della zona a una verifica epidemiologica.

Queste vicende molto pesanti di inquinamento hanno rivelato una serie di criticità del sistema trentino dei controlli.

Non va dimenticato, infatti, che malgrado anni di segnalazioni da parte della popolazione, le istituzioni della Provincia autonoma non erano riuscite a intervenire.

C’è voluta un’indagine esterna avviata dal Corpo forestale dello Stato, sede di Vicenza, affinché finalmente avessero un riscontro effettivo le reiterate denunce di cittadini che a Borgo notavano una serie di segnali inquietanti (dall’andirivieni nei boschi di camion sospetti alle polveri sul terreno).

Su questi temi ha lavorato a lungo il collega Andrea Tomasi, oggi impossibilitato a essere qui, che ha realizzato anche l’importante documentario «Veleni in paradiso» che trovate facilmente online.

Tutto questo ci dovrebbe interrogare in linea generale anche sul sistema dei controlli, specie in un regime di autonomia speciale che implica una particolare vicinanza tra politica, tecnocrazia e apparati di vigilanza.

Ma anche sul fronte dell’azione politica del movimento ecologista, credo vi siano margini per un’autocritica. Ho notato in varie occasioni la solitudine dei comitati impegnati su temi particolarmente delicati.

Personalmente, per esempio, ho seguito a lungo la vicenda del ciclo dei rifiuti a Trento, quando la Provincia (e il Comune) volevano fortissimamente costruire un inceneritore da gestire con partner anche privati.
Sullo sfondo c’era il business degli incentivi statali alla produzione di energia da fonti cosiddette assimilate alle rinnovabili, come i rifiuti.

Tutto legale, ma credo che sia un dovere degli ecologisti prendere posizioni nette anche sui profili etici del business e delle scelte dell’ente pubblico.

Gli inceneritori in proposito sono un caso eclatante da denunciare e combattere, per una lunga serie di ragioni (dai rischi sanitari e ambientali diretti all’alimentazione di processi incontrollati di sovraproduzione di materiali cosiddetti di scarto invece di favorire riduzione, riuso e riciclo).

All’epoca, a Trento, i verdi sedevano nella giunta provinciale che voleva l’impianto e hanno vissuto credo una stagione di forte disagio e di divisioni interne, con il risultato di un messaggio contraddittorio percepito dai cittadini.

Ecco io credo – e lo dico da amico – che quel passaggio meritasse anche un po’ di autocritica, perché dai Verdi era lecito aspettarsi fin da subito una posizione più forte e netta, fino a sacrificare la presenza in un governo che faceva scelte talmente arretrate, opache e dannose.

Capisco che essere in un esecutivo potente può consentire di ottenere, sia pure in via residuale, qualche risultato utile alla causa ecologica; ma esistono situazioni di fronte alle quali l’alternativa è secca fra un no a progetti peggiorativi della vita sulla terra e un sì a iniziative che – al contrario – migliorano la convivenza fra umani e con l’ambiente naturale.

Avrebbe richiesto una presenza verde più determinata, a mio avviso, anche la vicenda dell’acciaieria di Borgo, nella quale le condivisibili ipotesi di chiusura e conversione ecologica sono state rapidamente accantonate nel giro di poche ore (passata l’emozione delle sentenze sulla contaminazione).

Oggi come ieri sarebbe bello sentire dal mondo ecologista un appello deciso per un processo di conversione che metta fine alla stagione dei veleni in Valsugana, terra di agricoltura e turismo.

Qui vorrei ricordare l’amico Adriano Rizzoli, che ci ha lasciati appena tre mesi fa, il quale per lungo tempo si dedicò completamente all’impegno volto a orientare verso il «giusto» le scelte trentine sul ciclo dei rifiuti ma anche altre decisioni con riflessi sull’ambiente.

All’indomani della sua scomparsa io ritenni di suggerire alle autorità locali di rendere omaggio alla sua memoria, a un eroe civile della lotta ecologista: mi piace oggi rinnovare questo appello, qui, di fronte a questa platea qualificata.

Adriano Rizzoli si spendeva per essere speranza; anche quando magari ne aveva poca.

Essere speranza, farsi speranza agendo in politica, come amava ripetere Marco Pannella, che ha incrociato il suo cammino con quello dei verdi.

Alla stessa stregua, credo sia fondamentale oggi lavorare per favorire la consapevolezza umana di essere natura, non tanto e non solo di rispettare, avvicinarsi, vivere nella natura.

Ma essere natura.

Perciò, per gli ecologisti è fondamentale a mio avviso recuperare la radicalità della proposta e dell’azione, andare dritti al punto e costruire un dialogo profondo e diffuso per rilanciare coniugando le questioni ecologica e sociale, il rispetto dell’ambiente, la tutela della salute, la giustizia economica, la democrazia partecipata.

Negli ultimi due anni cadevano gli anniversari della morte e della nascita di Alex Langer : per me è stata l’occasione di riascoltare dall’archivio di Radio Radicale i suoi discorsi, fin dagli anni Ottanta.

Nei pensieri di un amico che considero il più profondo politico italiano della mia epoca, ho ritrovato il filo che deve tenere unite le lotte operaie, ecologiste, antimilitariste, mondialiste, egalitarie, democratiche, socialiste.
E ne vi ho trovato nutrimento per la mia convinzione che dopo decenni di arretramenti politici, culturali, economici è fondamentale ritrovare nelle idee e nelle prassi la forza di “ciò che era giusto”, come scrisse Alex nel suo ultimo biglietto esortandoci tutti a continuare.

Ecco. A ogni bivio ricordiamoci che la realtà ci chiama giorno dopo giorno a fare scelte, anche istituzionali, con il coraggio di riconoscere la coerenza o il conflitto verso i valori fondativi cui si ispira l’azione ecologista.

Si tratta, dunque, di agire di conseguenza e con forza.

Di saper dire sempre i sì e i no necessari e giusti.

Zenone Sovilla

Zenone Sovilla

Giornalista e videomaker, creatore di Nonluoghi nel 1999, ha lavorato in Italia e all'estero per giornali e stazioni radiofoniche. È redattore Web del quotidiano l'Adige.

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