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La crisi della politica, il vuoto della sinistra

[ tratto dal settimanale Umanità Nova, n. 5 del 10 febbraio 2008, anno 88 – www.ecn.org/uenne/ ]

Cosimo Scarinzi

Mentre stendevo queste note mi è giunta un’e mail di un compagno che segnalava una nota ANSA del 31 gennaio
“A ottobre 2007 il numero di ore non lavorate per conflitti di lavoro è salito a 1 milione 890mila, il più alto dal 2000. Lo comunica l’Istat precisando che dal 2000 ad oggi non c’è un valore mensile di ore non lavorate per sciopero più alto di quello registrato a ottobre scorso. Nel periodo gennaio-ottobre 2007 il numero di ore non lavorate per sciopero è stato pari circa a 3,5 milioni.” Se si tiene conto del fatto che erano, e sono, in corso diverse ed importanti vertenze è evidente che è un dato importante ma non straordinario. È, comunque, un dato che fa riflettere a fronte della passiva indifferenza con la quale la gran parte del buon popolo, in particolare il buon popolo di sinistra, guarda alla crisi di governo. Una crisi che appare assai meno importante di una serie di recenti vicende.
Qualche giorno fa un editoriale del Corsera – la voce in questi due anni dei veri azionisti di maggioranza del governo – iniziava così:
“Sepolte sotto una montagna di rifiuti giacciono le spoglie della seconda repubblica”.
La preoccupazione era chiaramente per il problema della governabilità in generale. E non certo perché il governo Prodi abbia fatto poco per banche e imprese se è vero che su questo versante ha elargito molto di più che non Berlusconi, come pietosamente ha lamentato ogni tanto qualche suo rappresentante di “sinistra”.
E allora? Allora basta guardare al numero di morti sul lavoro ogni giorno e alla mancanza di proposte serie per uscire da questa situazione, alla precarietà crescente ed a contratti che – come quello dei metalmeccanici – la ratificano, all’emergenza salari divenuta tema mediatico sul quale si esercitano i cantori del taglio delle tasse sugli straordinari, insomma a tutti quei problemi che il governo non solo non può dire di avere minimamente risolti ma neppure saprebbe come affrontare.
Non ha risposte: questo il messaggio decisivo, e questa la sua sentenza.
E in effetti oggi, diversamente da quanto avvenne nel ’98, nessuno, se si esclude la nomenclatura del centro sinistra, si straccia le vesti per la caduta del governo.
La vergogna dell’affaire monnezza, la spudoratezza della banda di Ceppaloni e l’applauso in parlamento all’ineffabile Mastella rendono plasticamente visibile il fatto che il centro-sinistra ha perso ogni appoggio sociale, e si è rivelato al di sotto delle pur non alte aspettative di chi lo aveva votato ed ha trascinato nel suo destino quella sinistra dell’Unione che ieri si affannava nelle piazze a sostenere Prodi ed oggi, obbligata dalla legge elettorale, il porcellum, si appresta a presentarsi alle elezioni come cartello unitario, la Cosa Rossa.
Siamo, insomma, di fronte ad una profonda crisi di legittimazione che investe tutto il sistema politico istituzionale, dalla sinistra ad una destra che punta a capitalizzare più in fretta possibile lo sfascio della sinistra senza avere alcuna credibilità visto che persino il più scemo dei berlusconiani stenta oggi a credere che il “suo” governo potrà garantire ricchi doni e cotillon.
Una crisi che il sistema di potere ha cercato in questi mesi di liquidare come ondata di “antipolitica populista”.
Ed effettivamente correnti populiste animano la scena politica ma sono un effetto e non la causa del vero problema e cioè della crisi economica innescata dallo scoppio della bolla dei subprime, del degrado e dell’impotenza della politica “non populista”, della fine di ogni credibile riformismo.
Un sistema politico in piena crisi di rappresentanza per l’incapacità/impossibilità di dare risposta alle domande che vengono dalla società, corrotto quanto e più della classe politica della prima repubblica in tutte le sue componenti, depotenziato di fronte alla dislocazione altrove – negli apparati tecnoburocratici planetari – dei centri reali di decisione e controllo, cerca di salvarsi assumendosi un ruolo di “amministrazione locale” coltivando dimensioni corporative, neoliberiste e securitarie, con un tono clericale-familistico di sottofondo in una nobile gara fra destra e sinistra.
A mio avviso la sorda rabbia che caratterizza la parte maggiore della popolazione molto difficilmente potrebbe sfociare in una nuova tangentopoli che dovrebbe fungere, come la vecchia tangentopoli, da valvola di sfogo dell’insoddisfazione del popolo basso convergente con la ripulitura delle stalle maleodoranti della politica da parte dei poteri forti.
Il fatto è, infatti, nel mondo politico si è logorata ogni pur minima credenziale di “diversità morale” di cui anni addietro ancora godeva la sinistra postcomunista e i soggetti populisti già entrati nel gioco politico come la Lega Nord hanno dato sufficiente prova del proprio grado di corruzione mentre, ed è il fattore decisivo, nessuno più crede realmente alla possibilità di moralizzazione della sfera statale.
Siamo, con ogni probabilità, di fronte alla fine delle ragioni d’essere della sinistra politica tradizionale, anche se le sue forme istituzionali svuotate di progettualità e di radicamento le sopravviveranno. Questo mentre le (ancora poche) energie sociali e politiche reali che si manifestano si collocano tutte al di fuori e, non di rado, contro la sfera politica istituzionale.

Cosimo Scarinzi

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