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Una banca del Movimento

[ dal sito dell’autore l’introduzione del libro “Un’altra moneta” (Malatempora Edizioni, www.malatempora.com ]

di Domenico De Simone

L’umanità che partecipa al movimento è la più varia e composita. Operai, impiegati, studenti, contadini, autonomi, disoccupati, imprenditori di sé stessi e di altri, negozianti, preti, missionari, suore, giornalisti, fotografi, professionisti, attori, eccetera, eccetera. Credo che il movimento riassuma in sé tutto lo spaccato della società civile, con preponderanza di alcune figure professionali, ma con la presenza della maggior parte di quelle che ci vengono in mente. Che cosa hanno in comune tutte queste persone? Molte cose, ma con certezza possiamo dire che avversano il modo di vivere cui le costringe la società del profitto. Che, insomma, l’avversario è il profitto come fine dell’ esistenza, ciò che lega l’opposizione contro questo sistema di tutti quelli che a Firenze ci sono andati con i piedi e di tutti quelli che ci sono andati con il cuore.

Un’altra cosa hanno in comune queste persone: che non vogliono un nuovo ordine. Il movimento comunista lottava per imporre l’ordine comunista a quello capitalista. Potere contro potere, con il relativo corollario di potere giusto contro il potere ingiusto e sofismi aggregati come corollari. Il movimento non ha un ordine da imporre e nemmeno da proporre.

Ciascuno pensa al suo ordine, se ne ha voglia e tempo.

Certamente tutti vogliono una società pluralista, però universale, nella quale le specificità locali ed etniche siano tutelate e non mortificate, in cui tutti abbiano opportunità adeguate di farsi valere, senza che questo significhi la morte di chi non ce la fa. Una società solidale e ricca di umanità. Ecco, fermiamoci su questo punto. Ho usato un termine, “ricco di umanità”, che ci riporta al concetto di ricchezza ed all’economia.

Una società nuova è una società in cui la ricchezza è l’umanità e non il denaro, la solidarietà e non il profitto, il benessere spirituale insieme a quello materiale. Dico assieme perché le due cose non sono affatto contraddittorie ed è ipocrita contrapporle così come è falso dire che il benessere spirituale è possibile solo se si rinuncia a quello materiale. Perché questo ragionamento ha un falso presupposto: che la ricchezza sia possibile solo con il profitto.

Questo è il paradigma di una società con risorse scarse, in cui il ricco è colui che ha sottratto molte risorse alla collettività. Oggi questo paradigma è divenuto falso. Ci sono molte risorse, sufficienti per tutti, ed altre sono nascoste e possono e debbono essere sollecitate in maniera appropriata.

Il paradigma della scarsità ha come corollario un sistema di accumulazione che si fonda sul profitto e sull’interesse. Più capitali sono scarsi maggiore è il tasso di interesse che essi richiedono perché maggiore è il rischio. L’usura della finanza si ammanta di eticità nascondendosi dietro il paravento dell’utilità collettiva di un corretto uso di risorse scarse. In realtà, oggi, disponiamo di risorse materiali in abbondanza, e di risorse immateriali illimitate. Con le nostre tecnologie avremmo la possibilità di rendere del tutto automatici processi di produzione che rendono schiavi gli uomini che ci sono addetti. Paradossalmente, poiché quel lavoro rappresenta la vita di molte persone, difendiamo un lavoro che è di per sé uno strumento di schiavizzazione, invece di batterci per farlo scomparire.

E’ l’equivoco che è contenuto nel diritto al lavoro, che rovescia il senso dell’esistenza. Il lavoro semmai è un dovere, che si risolve in ricchezza se è libero.

Il lavoro sotto la costrizione di non poter vivere senza è una schiavitù e basta. Dire che la ricchezza è quella che nasce dallo spirito umano esprime un pensiero comune a molti. La cosa paradossale è che questo pensiero non si coniuga, poi, con comportamenti conseguenti. La ricchezza, in questa società, è data solo dal denaro, e il denaro cresce solo sul profitto. Di conseguenza la ricchezza è il profitto.

Nell’accezione corrente in economia, si fa riferimento per definire la ricchezza al concetto di scarsità. Un bene è tanto più prezioso in quanto è scarso, ed è questa la ragione per cui l’oro vale molto di più dell’aria, nonostante questa sia indubbiamente essenziale per vivere mentre l’oro è del tutto superfluo.

Ma se ci pensiamo bene, questa idea è falsa. Se così fosse, della buona musica, o letteratura o filosofia, che sono certamente scarse, avrebbero un grande valore.

Al contrario il valore, in quei campi, è dato dal profitto, poiché un libro o un disco non vengono venduti in base al loro valore effettivo, ma in base a quello che riescono a produrre, e quindi al capitale che viene investito per la loro produzione. Non è quindi la scarsità che rende preziose le cose, ma il profitto del capitale.

Tutti noi proviamo un senso di profondo disagio di fronte a questa considerazione, perché ci rendiamo conto che stiamo immersi nella logica del capitale ed esattamente nel punto in cui esso vuole che stiamo.

Ed è un disagio che si traduce, poi, in rimozione del problema, e non nella ricerca della sua soluzione. Anche contestare il capitalismo è funzionale alla sua riproduzione. Se non ci credete, provate a pensare a quanto abbiano fruttato ai mass media le notizie sugli scontri e quanta informazione richieda il movimento, e per loro, l’informazione è ricchezza. Questo non significa che non dobbiamo contestarlo, ma che l’opposizione e la lotta deve assumerne forme e contenuti diversi, poiché quelli usuali sono stati oggettivamente inglobati nella logica della riproduzione del capitale finanziario.

Dobbiamo, allora, riflettere su che cosa possa davvero rompere questo circolo perverso, che si impadronisce delle nostre stesse vite fino a renderle strumenti per la creazione di denaro e di profitto. Abbiamo la possibilità di creare una società fuori dalla logica del profitto, e di farla subito. Ci sono i numeri, le risorse, la fantasia, le capacità. Facciamola.

L’idea è quella di costruire, tra di noi, un sistema di relazioni che siano estranee al profitto, pur consentendo a chi le fa, di trarre un utile da queste relazioni. Credo che chiunque svolga una prestazione debba ricavarne un utile, il che non significa che questo utile debba necessariamente essere un profitto. Infatti, la remunerazione di un’attività è cosa diversa dal profitto, che attiene alla valorizzazione del capitale e non delle risorse umane. Dobbiamo, quindi, impedire che avvenga quel corto circuito che identifica capitale monetario con i valori umani, fino al punto in cui questi sono subordinati a quello.

Come dicevo, ci sono risorse umane in quantità. Ci sono anche risorse materiali a sufficienza, e ormai da oltre dieci anni. Insomma, non è necessario che qualcuno muoia di fame affinché altri possano vivere, così come non è necessario che molti facciano un lavoro massacrante e alienante affinché pochi possano pensare.

D’altra parte è lo scambio alla base della logica del profitto. Come ho dimostrato nel mio libro “Dove andrà a finire l’economia dei ricchi”, allo scambio si stanno sovrapponendo logiche di relazioni completamente diverse, nelle quali anche la valutazione dell’apporto di ciascuno è del tutto superflua, così come sono insensati i pagamenti in denaro. Dobbiamo quindi realizzare l’utopia di una società che si fonda sulla vera ricchezza, che è quella che nasce dagli uomini. Si tratta di un’utopia concreta, reale immediata. Senza i sogni, gli uomini sono già morti.

Ma vivere nel sogno, dimenticando la realtà, è anche peggio. Se abbiamo un sogno dobbiamo viverlo fino in fondo, renderlo reale, subito. Solo così possiamo sollecitare le forze che sono attorno ed insieme a quel sogno.

Non abbiamo bisogno dell’ utopia del futuro, perché come diceva Keynes, a lungo termine saremo tutti già morti. Non vogliamo nemmeno l’utopia del passato, quella dei morti che ritornano in forma di sogno splendente, nascondendo la miseria del loro e del nostro presente. Non dobbiamo negare la miseria del nostro presente, proiettandoci in un mondo fantastico che vive nel passato o nel futuro. L’ utopia è oggi, subito. Dobbiamo essere realisti e fare l’impossibile. Questa frase entusiasmò Marcuse che la lesse su un muro della Sorbona nel ’68, ma al posto di fare c’era scritto chiedere.

Noi non dobbiamo chiedere niente a nessuno, dobbiamo fare il nostro mondo, a partire da noi stessi. In noi è racchiuso tutto l’universo, e se è così, perché non realizzare l’utopia? Nel mondo virtuale abbiamo un’infinità di risorse: siti di informazione, di musica, di letteratura, di teatro, di software, eccetera. La maggior parte di queste risorse sono sottopagate o spesso non sono pagate affatto, e quindi la loro possibilità di crescita è limitata dalla presenza di siti e di aziende che dispongono invece, di ben altri mezzi.

In che cosa consistono questi mezzi? Nel denaro e nelle altre risorse finanziarie di cui le banche ed i grandi gruppi dispongono e che vengono messi a disposizione di chi si muove entro una logica di profitto. Attenzione, non ho scritto di sviluppo, ma di profitto che è profondamente diverso, poiché esso attiene allo sviluppo del capitale, non della società né, tanto meno delle risorse umane.

Noi dobbiamo creare una logica di sviluppo senza profitto, di creazione di ricchezza senza sfruttamento, di valorizzazione della vita e non del denaro. Questo è il punto decisivo.

Facciamo un esempio.

Si parla dell’informazione indipendente, ma per farla ci vogliono risorse finanziarie e certamente, nessuno nel movimento dispone delle somme per fare una televisione indipendente. Neppure troverete mai una banca disposta a dare ad un gruppo legato al movimento le somme necessarie per farlo. E non tanto per ragioni ideologiche, ma semplicemente perché nessuno è in grado di aggregare le risorse necessarie per garantire i profitti che il mondo finanziario esige per iniziative di questo genere.

D’altra parte, se ci si muove fuori da una logica di profitto è insensato garantire dei profitti, così come se ci si muove in una logica non violenta è insensato comprare le armi. E se qualcuno finanzia queste iniziative vuol dire che da qualche parte il profitto lo tira fuori, altrimenti non lo farebbe. Per questa ragione diffido sempre di iniziative apparentemente animate dalle migliori intenzioni che però non escono dalla logica ferrea di questo sistema. Lo stesso discorso vale per la politica. Non sono gli uomini cattivi che rendono il potere cattivo, ma è il potere che fa gli uomini cattivi, e credo che la storia ce ne abbia dato esempi a sufficienza. Pensate alle T.A.Z., le zone di autonomia dal potere politico di cui Akim Bey ci ha reso una accurata descrizione nel suo splendido libro.

Dobbiamo costruire una T.A.Z. dal potere finanziario, una zona autonoma, ma non temporanea, che consenta a chiunque lo voglia, di uscire dalla logica del capitale e del profitto.

Nel movimento, come dicevo prima, ci sono risorse umane e materiali più che sufficienti per trasformare in realtà quello che appare un sogno. Cosa possiamo fare per realizzarlo?

Partiamo dalle cose semplici e già note. Ci sono le banche del tempo ed altre organizzazioni no-profit, i cui membri si scambiano prestazioni senza ricavare un profitto. Posso scambiare un’ora di lezioni di musica con un’ora di giardinaggio o un’ora di baby sitting. Le banche del tempo sono molto diffuse nel mondo, un po’ meno in Italia, anzi quasi per niente, e sono certamente un’istituzione lodevole. In Argentina, ad esempio, con strumenti del genere alcuni milioni di persone riescono a sbarcare il lunario, poiché dedicano tutto il proprio tempo a rendere questi servigi ricevendo dagli altri servizi in proporzione.

Il problema, però, è di far uscire la logica del profitto dalla nostra vita. Perché anche se la rifiutiamo, anche se pensiamo di starne fuori, essa è sempre presente ogni volta che dobbiamo fare un gesto banale come quello di andare al bar a prendere un cappuccino, o quello un po’ più impegnativo di andare a comprare una casa o un’automobile. E’ vero che molte banche del tempo emettono una specie di denaro, che altro non è che un’unità di misura delle ore prestate e serve a dimostrare che si è effettuata effettivamente la prestazione indicata nel certificato (altrimenti lo scambio deve necessariamente essere limitato tra quelli che si conoscono e che hanno effettuato reciprocamente le prestazioni).

Però anche queste forme monetarie alternative hanno dei limiti. In genere scarseggiano, e quando sono emesse non si conoscono i criteri di emissione né di distribuzione.

Ma il limite peggiore è che esse non sono convertibili, e quindi sono destinate comunque ad una circolazione limitata tra quelli che offrono prestazioni e solo per quelle prestazioni. Insomma, non ci si può comperare casa e nemmeno il cappuccino al bar, e soprattutto non ci si possono pagare la luce, il telefono, l’energia e le tasse.

Per fare queste cose occorrono i soldi, così come pure per fare una televisione indipendente o un sito di informazione che sia in grado di fare concorrenza ad un network di medie dimensioni. I soldi li fanno le banche che te li danno solo se ti indebiti, e se ti indebiti caschi necessariamente nella logica del profitto, altrimenti non potrai mai restituire il tuo debito.

In realtà non ci riesci lo stesso, ma se paghi gli interessi e cresci con il fatturato, le banche ti creano altro denaro indebitandoti ulteriormente così che il loro profitto possa crescere (non dobbiamo dimenticare che le banche hanno bisogno per fare soldi di qualcuno che si assuma il debito). Le conseguenze sono quelle che vediamo oggi: tutte le aziende sono oberate di debiti e ogni tanto qualcuna che non ce la fa a ripagare il suo debito viene eliminata.

Al suo posto sono pronti in mille ad assumersi quei debiti e tentare l’avventura. L’economia cresce solo con il debito, che è poi il modo del potere finanziario di creare il denaro.

Quello che interessa alle banche non è che il debito sia restituito, poiché esse sanno benissimo che in molti non potranno farlo, ma che si viva nella logica del profitto e della riproduzione del capitale.

Alle banche interessa l’anima degli uomini, esse vogliono indurre comportamenti che presuppongano la logica del profitto. Solo così possono perpetuare il loro potere. Però, cosa ci dimostra l’esistenza delle Banche del tempo e delle monete alternative? Ci dimostra che è possibile fare a meno del “loro” denaro per vivere. Che è possibile lavorare, creare, muoversi in una logica diversa da quella del potere del denaro e del profitto.

La vera ragione per cui queste istituzioni alternative non decollano, è data dal fatto che esse si tengono ai margini, indecise tra l’alternativa vera ed il mondo tradizionale. Se non si rovescia la logica del capitale è impossibile farne a meno. Una Banca deve comportarsi con la logica della banca tradizionale, altrimenti è destinata al fallimento, così come un’impresa deve comportarsi secondo i criteri propri dell’impresa, altrimenti è anch’essa destinata a chiudere. Allora, o rovesciamo la logica del capitale, oppure Banca Etica, finanza etica, imprese no-profit, resteranno delle belle aspirazioni prive però di concretezza e di sostanza. Insomma dobbiamo uscire dalla logica del profitto. Ma come?

Nel mio ultimo libro “Per un’economia dal volto umano” ho avanzato l’idea che gli enti locali, Comuni, Regioni e Province, potessero utilizzare i titoli di debito, con cui lo Stato li sta indebitando dopo aver raggiunto il tetto del proprio indebitamento, per effettuare delle emissioni affatto diverse nella logica del tasso negativo. Ovviamente queste emissioni non possono essere collocate al pubblico come quelle che portano un tasso positivo. Ma la loro funzione non è quella di dare un interesse e rastrellare risparmio, anche perché il risparmio non c’è più.

L’idea è quella di emettere degli strumenti finanziari che non creino debito e non generino interessi. I Titan sono dei titoli finanziari destinati ad essere spesi e il più velocemente possibile, proprio per non pagare l’ interesse negativo dal quale sono gravati.

Nella proposta dei Titan ipotizzavo che essi fossero emessi da un ente locale, come un Comune, una Provincia, una Regione, per finanziare iniziative di creazione di ricchezza. Essi però, possono anche essere emessi da un’associazione privata, e facevo l’esempio dei centri sociali, di cui alcuni svolgono attività di un qualche rilievo economico.

Le società di capitali possono emettere obbligazioni secondo regole tecniche previste dalla legge. Se queste obbligazioni fossero gravate da un tasso negativo, esse funzionerebbero né più e né meno come i Titan. Ovviamente la loro emissione ha necessità di due presupposti: il primo che ci sia un numero sufficiente di persone che li accetti in pagamento di prestazioni o altri beni, e il secondo che esse vengano emesse a fronte della creazione di ricchezza che le giustifichi.

E’ necessario un contesto sufficientemente ampio per giustificare emissioni continue di titoli di questo genere, poiché solo così si possono recuperare la quantità e la qualità di beni e di servizi necessari a chiunque per vivere.

Infine, in un ambiente ristretto è pressoché impossibile ricostruire un’intera filiera economica, vale a dire un processo di produzione che comprenda tutte o quasi le fasi di lavorazione di un prodotto e quindi la circolazione dei titoli sarebbe gravemente limitata da questo problema. La soluzione è, quindi, di avere un numero iniziale congruo di partecipanti, una o più filiere di produzione, un istituto di emissione, ed un criterio di distribuzione razionale ed equo.

Non è semplice ottenere queste condizioni, ma è certamente possibile, poiché queste risorse già ci sono nel movimento. Se poi i titoli emessi fossero convertibili dall’istituto di emissione, allora il problema principale sarebbe risolto. Insomma, con questi titoli ci si potrebbe comprare la casa e il cappuccino al bar. Essi potrebbero esser spesi in pratica ovunque, soprattutto dopo un certo tempo dalla loro entrata in circolazione.

Faccio un esempio di come potrebbe funzionare il meccanismo, partendo dalla fine, ovvero dai suoi effetti.

Che ne pensate di una società i cui soci ricevono dalla collettività, ogni mese, una somma sufficiente per poter vivere, comprando nella società quanto è necessario a prezzi ragionevoli?

In cui ciascuno possa dedicarsi a fare quello che ritiene più adatto alle proprie capacità, senza doversi preoccupare se produce soldi o meno, perché comunque ha da vivere e perché comunque, quello che fa è considerato “ricchezza”?

E se vi viene il dubbio che le imprese possano non avere interesse a partecipare ad una simile iniziativa, vi espongo subito il ragionamento da fare ad un negoziante qualsiasi, mettiamo il gestore di un supermercato (che è necessario che ci siano anche loro, poiché è lì che si va a fare la spesa).

“Caro gestore, se ti mando 10.000 persone che mensilmente fanno la spesa da te, che sconto gli fai sulla spesa che essi fanno?”. Vedrete i suoi occhi illuminarsi e la mente effettuare rapidamente calcoli su quanto fatturato gli possono portare 10.000 persone. Si tratta di un sacco di soldi. Se poi gli dite che lo sconto consiste nel fatto che alla fine dell’anno sui titoli che riceve in pagamento e che restano nelle sue casse deve pagare il 5% (o l ‘uno per mille alla settimana il che è lo stesso), lo vedrete sorridere a trentadue denti. Perché di fatto, dato il cash flow di un supermercato, se pure alla fine dell’anno esso dovesse essere gravato dell’intero importo del tasso negativo, quel 5% sarebbe inferiore allo 0,5%.

Negli esprimenti con denaro a data effettuati in passato, si è constatato che la velocità di circolazione è di circa 46 volte nel corso dell’anno, mentre il denaro normale girava non più di 5 volte.

Però è necessario che il gestore del supermercato, poi, possa andare a spendere quei titoli per comprare le cose che vi vende, altrimenti egli avrebbe una perdita secca. E a loro volta, i suoi fornitori dovranno poter spendere quei titoli presso i propri fornitori, altrimenti la perdita ricadrebbe su di loro. Questa è una filiera di produzione e noi possiamo ricostruirne alcune e poi attirare le altre nel nuovo sistema. Per una ragione semplicissima. Il sistema economico soffre di sovrapproduzione, e questo già di per sé comporta una perdita secca per gli operatori. E allora gli si pone l’interrogativo:

Accettare i titoli ed il rischio che questi comportano (e cioè il fato di dover impiegare un certo tempo per spenderli) oppure subire passivamente una perdita certa perché non si riesce a vendere i prodotti, fino al punto da dover chiudere lo stabilimento?

I produttori, in questo contesto, hanno interesse ad entrare in un nuovo sistema di distribuzione della ricchezza, che gli consente anche di accedere a fonti di finanziamento che non hanno costi propri. Quindi dopo aver fatto bene i propri conti, correranno nel sistema. Non ci interessa la ragione per cui lo faranno, ma il fatto che lo faranno.

Sembra un sogno, e invece è possibile, e oggi, subito. Perché tutto quello che noi facciamo è ricchezza, e non solo quello che produce profitto. Ed in questa considerazione consiste la rivoluzione prossima ventura. Ma se è ricchezza, allora è necessario che ogni “produzione” sia accompagnata da un numerario che ne consenta lo scambio e l’acquisto.

E questo è l’altro punto della rivoluzione. Vediamo come dovrebbe funzionare la società. Ho stimato il numero dei soci iniziali della Banca del Movimento in almeno 10.000 persone. Le filiere di produzione saranno all’inizio essenzialmente aziende di prodotti immateriali, come cd, film, informazione, software, teatro, libri, cultura in genere, insomma tutto quello che passa su internet e dintorni. Possono però, anche essere aziende agricole, penso a quelle del commercio equo e solidale, artigiane dello stesso circuito, aziende di grande distribuzione ed imprese che abbiano problemi di sovrapproduzione, che poi sono la maggioranza visto che il problema della crisi di oggi è proprio quello della sovrapproduzione.

Se queste aziende potessero pagare in parte almeno, i propri dipendenti con questi titoli il problema della conversione sarebbe in parte risolto.

E d’altra parte, se i dipendenti possono andare a comprare con questi titoli merci su internet e presso altre imprese non avrebbero difficoltà ad accettarli. Soprattutto non avrebbero difficoltà se il loro lavoro dovesse essere remunerato in quel modo poiché l ‘azienda nasce con quel finanziamento.

L’istituto di emissione potrebbe essere, ad esempio, Banca Etica, che ha già una struttura di tipo bancario e possiede le capacità per far funzionare il sistema di emissione. Per la decisione sulle tipologie di investimento si deve adottare una forma di democrazia diretta con il voto in tempo reale sulle singole iniziative assunte dalla banca di emissione, mentre a livello locale ci penserebbero i soci del posto ad indirizzare le emissioni sulle iniziative più adeguate.

Ad esempio, se in un luogo si adottasse un’ iniziativa di disinquinamento del territorio, la decisione dovrebbe essere presa a livello locale nella misura indicata dalla banca centrale che deve monitorare la quantità di emissioni periodiche per evitare l’inflazione. Quanto alla distribuzione, è necessario (e possibile) che una parte delle emissioni sia utilizzata per dare reddito di cittadinanza ai soci dell’ iniziativa. La misura dell’erogazione è una funzione del ricavato della circolazione e degli investimenti che producono ricchezza. Essa quindi può variare nel tempo poiché è legata alla quantità di beni e servizi che è prodotta dalla collettività.

Il reddito dal lavoro, per le prestazioni effettuate nella logica della banca del tempo, si aggiunge, ovviamente, al reddito di cittadinanza così preso.

In un lasso di tempo che stimo essere relativamente breve, non appena l’ iniziativa dovesse partire, il numero dei partecipanti dovrebbe aumentare in misura geometrica, poiché l’interesse a partecipare sarebbe fortissimo. Non solo interesse ideologico, ma anche e soprattutto interesse concreto, poiché attraverso questo meccanismo si può vivere e bene senza rinunciare a nulla ma anzi migliorando la qualità della propria vita.

Ricapitoliamo.

Si costituisce l’associazione che propongo di chiamare con l’acronimo F.A.Z., Zona di Autonomia Finanziaria. Banca etica (BE) funge da banca dell’ associazione. Ciascun socio apre un conto presso la banca dove gli viene accreditata una somma iniziale di 500 euro in titoli a tasso negativo. Questo accredito è gratuito, non comporta alcun versamento da parte dei soci. Il solo fatto di partecipare alla società dà diritto di ricevere la somma in questione, in forma di titoli a tasso negativo.

Vi chiederete da dove arrivino queste somme. Esattamente dallo stesso posto dal quale lo Stato (e per esso le Banche) fanno arrivare i soldi con i quali fate la spesa al supermercato. Con la piccola differenza che mentre quei denari creano debito (e quindi potere), i Titan non creano né debito né potere. Se avete ancora dubbi sulle ragioni che consentono a BE di emettere questi titoli senza alcuna copertura apparente, vi prego di andare a leggere nei miei libri e in particolare nel capo II del libro “Dove andrà a finire l ‘economia dei ricchi” a pagina 45 e seguenti, dove riporto un esempio di come Krugman spiega la ragione per cui una società chiusa debba emettere denaro senza copertura per poter funzionare.

Negli altri libri, trovate considerazioni esaurienti sulla natura del denaro e l’assurdità della sua creazione a debito (assurdità, peraltro, funzionale al potere finanziario). I Titan emessi da BE perdono ogni settimana l’uno per mille del loro valore nominale. Ogni nuovo socio che entra riceve la medesima somma. Ogni settimana BE detrae dai conti l’importo dell’uno per mille che accantona a copertura del finanziamento dei titoli. (la cosa in realtà è un poco più complicata poiché il mio sistema prevede l’emissione di titoli gravati da diversi tassi negativi, che oscillano tra lo 0,2 e il 2 per mille la settimana, a seconda del tipo di iniziativa che viene finanziata. Mensilmente BE versa sui conti dei soci la somma che viene determinata a titolo di reddito di cittadinanza (RdC).

Questa somma equivale all’importo che verrà detratto dai conti a titolo di tasso negativo nonché ad una percentuale dei finanziamenti fatti per la creazione di nuove imprese. Possiamo supporre che ci siano somme sufficienti per dare a tutti un importo non simbolico a titolo di RdC. Non sono in grado di determinare la cifra senza fare delle proiezioni accurate e non dispongo di un istituto di ricerca in grado di studiare questa questione. Non credo di essere molto lontano dal vero se però, dico che è presumibile che sin dall’inizio si possa dare una somma minima di 200 euro al mese a tutti i soggetti che si iscrivono all’associazione, per arrivare in un lasso di tempo relativamente breve a 500 euro al mese a testa. Trattandosi di strumenti a tasso negativo la loro natura è quella di essere spesi il più velocemente possibile. Anche se qualcuno partecipasse all’associazione senza lavorarci all’interno, il solo fatto che spenda nell’associazione crea ricchezza. E d’altra parte la spesa per consumi è il vero motore dell’ economia.

Ovviamente, i soci dovrebbero impegnarsi a fornire proprie prestazioni o prodotti seguendo la logica delle banche del tempo e del commercio equo e solidale e dietro il pagamento di un compenso determinato. Ma se queste prestazioni non fossero richieste, o se i loro prodotti restassero invenduti, non c’è alcuna ragione perché essi vengano esclusi dall’ associazione. La loro presenza come consumatori e fruitori dei prodotti all’ interno dell’associazione contribuisce a creare la ricchezza complessiva del gruppo.

Tutti i soggetti che ho indicato sopra hanno interesse a partecipare all’ iniziativa. Vediamo il dettaglio. Per Banca Etica, o la struttura di tipo bancario che gestisce l’emissione dei titoli, si tratta di coprire i propri costi ed avere gli strumenti per recuperare le risorse necessarie al finanziamento delle iniziative che vengono proposte. Questo può avvenire tramite l’imposizione di un’imposta sulle singole operazioni o sulla gestione dei conti. Ho pensato ad un aggio su tutte le transazioni che avvengono per il suo tramite pari allo 0,1%. D’altra parte Banca Etica ha altri proventi dall’attività. Intanto, per le emissioni effettuate per finanziare iniziative di tipo imprenditoriale, essa riceve il capitale in restituzione dall’impresa.

Questo capitale va a remunerare i costi del RdC, ma allo stesso tempo una parte di esso potrebbe essere stornata per coprire i costi della Banca che non fossero coperti dal prezzo della gestione dei conti. Inoltre, Banca etica può partecipare alle imprese e promuoverne alcune, cosa che può fruttare utili in grado di coprirne parzialmente i costi. Poiché però essa non dà un interesse per i depositi ma lo trattiene a titolo di tasso negativo, i costi di banca etica sono molto ridotti. Il calcolo del tasso negativo può sembrare complicato e lo sarebbe se dovesse essere effettuato a mano, ma gli attuali computer sono in grado di svolgere queste operazioni con estrema precisione e senza alcuna fatica.

La cosa si complicherebbe un poco se, oltre alla gestione on line dei conti la Banca dovesse effettuare anche una gestione cartacea dei titoli. La soluzione più semplice, sarebbe quella di legare i due sistemi attraverso delle smart-card che potrebbero consentire ai soci di portarsi il “contante” appresso senza dover ricorrere al cartaceo. Ma questo è un problema del “dopo”. Insomma, Banca Etica non solo avrebbe interesse economico ad entrare nell’operazione, ma soprattutto potrebbe rendere concreto il proprio obiettivo di fare finanza etica. Infine, i soci potrebbero trasferire i propri conti ordinari presso la stessa banca.

E’ insensato tenere conti a tempo presso BE e conti ordinari presso una banca del sistema finanziario. Ovviamente BE tratterebbe i conti ordinari come i normali conti, separandoli da quelli in titoli, per non incorrere in sanzioni. Solo questo, però, porterebbe a BE proventi di gestione sufficienti a ripagarla delle spese. E’ probabile che i conti in euro ordinari siano utilizzati per la tesaurizzazione dai soci, oltre che per pagare le spese correnti che non è possibile pagare con i Titan. BE, quindi, si troverà con una riserva in continua crescita di euro poiché molti servizi creati con i Titan saranno pagati nel sistema economico in euro. Questo meccanismo dovrebbe consentire a BE di convertire Titan in euro senza dover soffrire per mancanza di liquidità.

Dobbiamo tenere presente che è necessario monitorare in maniera precisa la quantità di titoli che possono essere emessi in un sistema. Leggendo il capitolo di cui parlavo sopra se ne capisce immediatamente la ragione, che riassumo nella considerazione che se in un sistema ci sono troppi strumenti monetari, i prezzi salgono, se sono troppo pochi, i prezzi scendono e le attività economiche si deprimono. Di quali strumenti può disporre BE per fare questo controllo?

Per la emissione dei titoli, BE ha uno strumento di monitoraggio dato dal livello dei prezzi interni. Il tasso negativo dovrebbe escludere deflazione, vale a dire una caduta dei prezzi che comporti una caduta delle attività economiche. E’ quello che sta accadendo adesso: la mancanza di domanda costringe le imprese ad abbassare i prezzi per cercare di mantenere livelli accettabili di produzione, ma per farlo sono costrette a risparmiare sui costi, e quindi tagliano soprattutto il costo del personale. Questo, però, comporta un’ulteriore caduta della domanda effettiva di beni, poiché i licenziati spenderanno di meno sul mercato. L’effetto generale è una caduta di prezzi ed una conseguente riduzione delle attività economiche. Con il tasso negativo, la caduta dei prezzi segue a risparmi sui costi di produzione per effetto di un incremento della domanda e non della sua caduta. Insomma si dovrebbe risolvere in un beneficio per la gente e per le imprese.

Allo stesso tempo la riduzione progressiva della massa monetaria con il decorso del tempo, limita anche gli effetti inflattivi, a meno che le emissioni non fossero eccessive rispetto al volume degli scambi. Insomma, l’ andamento dei prezzi diventa un indicatore per stabilire il livello delle emissioni successive, la cui crescita dovrebbe essere geometrica, come la crescita della ricchezza complessiva del sistema. Altro strumento di controllo potrebbe essere quello del livello del costo della gestione dei conti, o dell’imposizione di un costo sulle singole transazioni, che provocherebbe una riduzione della velocità di circolazione dei titoli se questa dovesse generare inflazione.

BE è un organo tecnico e non politico. La sua decisione sul livello di finanziamenti emettibili, non comporta alcuna scelta sul tipo di investimento da effettuare che, a parità di condizioni, deve essere deciso dall’associazione con forme di democrazia diretta. I soci avrebbero la possibilità di trasferire tutte le proprie attività nel sistema e di vivere con i proventi di essa. Ovviamente è necessario che nelle filiere di produzione ci siano aziende che vendano un po’ di tutto. E’ essenziale che nell’associazione ci siano aziende che vendano alimentare, e penso alle aziende del consumo equo e solidale, ma anche supermercati di tipo tradizionale. In questo modo, chi sta dentro il sistema può soddisfare i propri consumi e le proprie necessità di lavoro e di espressione all’ interno della comunità e avrebbe bisogno di pochissimo per i consumi esterni (che consistono in tasse, energia, e telefonia se non si coinvolge qualche impresa che vende questi prodotti nell’associazione).

Una filiera di produzione è in genere abbastanza complicata. Essa comprende, non solo le innumerevoli aziende di produzione, ma anche quelle di stoccaggio, di trasporto, di distribuzione ai vari livelli e di vendita. Insomma, un numero sorprendentemente (per chi non le conosce) elevato di persone e di aziende. Se fino al secolo scorso, il prodotto agricolo aveva necessità di pochissimi addetti tra l’inizio della produzione ed il prodotto finale, oggi essi sono un numero enorme, che svaria dalle aziende di produzione di sementi, a quelle di allevamento e di agricoltura vere e proprie, ai trasporti dei prodotti verso gli stabilimenti, alla lavorazione delle materie prime (grano, soia, mais, zucchero eccetera), alla distribuzione del prodotto confezionato, alle aziende che producono pacchi e pacchetti, a quelle che producono le macchine per confezionare, alle società di marketing, alle aziende di pubblicità, all’immagazzinamento e stoccaggio, che per il “fresco” è particolarmente complesso poiché si avvale di frigoriferi, all’ energia necessaria per far funzionare tutto ciò, ai telefoni, computer, posta ed altro necessario per le intermediazioni, ai mediatori, eccetera, eccetera. Basta riflettere un momento per vedere quante aziende coinvolge anche la filiera più modesta dal punto di vista tecnologico.

La prospettiva dei soci di ricevere RdC per i propri consumi essenziali è indubbiamente attraente. E’ chiaro che il tasso negativo non consente di effettuare risparmio in senso tradizionale. Allo stesso tempo, però, si può partecipare come soci, alle iniziative proposte che hanno bisogno di garanzie aggiunte a quelle che i promotori sono in grado di fornire. In quel caso, il capitale investito diventa di nuovo nominale e smette di perdere “valore” con il decorso del tempo, trasformandosi in una sorta di risparmio assoggettato al rischio di impresa. E poi, chi l’ha detto che il risparmio è necessario per vivere? Se si tratta di raccogliere fondi per un’iniziativa, ci si rivolge alla BE e si formula una proposta, se si tratta di fare i soldi per una vacanza, non sarà certo il 5% all’anno di tasso negativo ad impedircelo.

Le imprese già costituite che partecipano all’associazione hanno il vantaggio di potere smerciare i propri prodotti e far girare velocemente il capitale. Non ha alcuna importanza che esse vogliano ideologicamente abbandonare la logica del profitto, non serve. Esse hanno interesse a partecipare perché l’associazione gli consente di muovere le merci e fare produzione senza subire perdite, anzi guadagnando molto. Ho messo sopra il ragionamento tipico del negoziante di fronte alla prospettiva di poter moltiplicare il proprio fatturato a fronte di un piccolo sconto sulle merci che vende.

Lo stesso ragionamento vale per le altre imprese che partecipassero all’ iniziativa e dopo qualche tempo, molte imprese chiederebbero di entrare nell ‘associazione per poterne usufruire dei benefici.

Le imprese che sono costituite con i finanziamenti di BE, avrebbero un grande vantaggio. Infatti esse devono impegnarsi alla restituzione del solo capitale ricevuto e non degli interessi e non sarebbero quindi, costrette alla ricerca del profitto immediato per non morire. Per alcune imprese, inoltre, la restituzione del capitale non sarebbe neppure richiesta, poiché alla fine il capitale di esercizio sarebbe onorato dai membri dell’ associazione. Questo porterebbe, però, ad una riduzione della somma a titolo di RdC.

E’ possibile che non appena l’iniziativa prenda piede, anche alcuni enti locali territoriali, Comuni o Province, decidano di effettuare emissioni di Titan per le proprie iniziative. Questi titoli potrebbero benissimo circolare insieme a quelli di BE, ma sarebbe necessario aprire vertenze nei confronti dei Comuni perché adottassero la medesima destinazione a RdC per i proventi che essi avrebbero dall’iniziativa. In ogni caso, per il sistema finanziario sarebbe un colpo terribile. La logica del capitale finanziario è la crescita ininterrotta, e il meccanismo dei Titan sottrae ad esso risorse umane e materiali, ed in misura geometrica. A differenza delle monete alternative, come i Simec, che hanno una circolazione limitata al territorio, la F.A.Z. potrebbe coinvolgere l’ intero sistema produttivo nel giro di qualche anno. E’ presumibile che quindi, il potere finanziario reagisca in maniera dura cercando di bloccare l’iniziativa con tutti i mezzi, legali e non. Dal punto di vista giuridico l ‘operazione è inattaccabile.

Il prestito obbligazionario è una figura disciplinata dal codice civile, il livello del tasso è determinato dal CdA e la quantità di emissioni sono proporzionali al capitale, ma poiché il tasso negativo presuppone la completa estinzione dei titoli, ed il loro ripianamento da parte dei soci, nessuno può impedire alla BE di emetterne a suo piacimento.

Lo stesso ragionamento vale per gli enti locali. Il fatto che i Titan vengano usati come moneta non è vietato da nessuna legge. A parte il fatto che posso tranquillamente comprare casa con i BOT, e che i titoli di debito sono considerati denaro a tutti gli effetti, nulla mi impedisce di comprare un telefonino dando in cambio una coperta di lana, una pila di libri, un assegno post datato o un Titan, sempre che il venditore lo accetti e sempre che sia consapevole del “valore” di quello che riceve in cambio. D’altra parte per aderire all’associazione è necessario accettarne le premesse che mettono ben in evidenza la natura dei Titan e l’impegno ad accettarli come mezzi di pagamento.

Quale beneficio per il movimento? Il solo fatto che si prefiguri in concreto un modo di vivere diverso da quello della società del profitto è una grande rivoluzione. Attraverso questi strumenti si possono aggregare forze considerevoli in breve tempo, per fare informazione libera, per far crescere il biologico in agricoltura, per fare ricerca e produzione di fonti energetiche alternative al petrolio, per fare case decenti per tutti, per liberare un numero crescente di persone.

Non è la pietra filosofale e il tasso negativo non risolve tutti i problemi. Come diceva Marx, le relazioni economiche riflettono i rapporti sociali. E’ esattamente quello che dobbiamo fare. Smetterla di vivere nell’incubo della riproduzione del capitale e cominciare a vivere secondo il nostro modo di vivere i rapporti sociali.

Il tasso negativo, però, indica una via ed è il caso di imboccarla rapidamente. Perché se funziona, e non si vede la ragione per cui non dovrebbe funzionare, riusciremo in maniera concreta ad introdurre nel mondo e nella testa della gente un diverso concetto di ricchezza e di vita. E se non sbaglio è proprio questo l’obiettivo di tutti.

Domenico de Simone, controeconomista, autore di tre saggi di economia alternativa, “Un milione al mese a tutti subito” (1999), Dove andrà a finire l’economia dei ricchi (2001), Per un’economia dal volto Umano (2002), edizioni Malatempora.

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