Nonluoghi Archivio A Trento il Festival dell’economia (liberista)

A Trento il Festival dell’economia (liberista)

di Zenone Sovilla

Da oltre un ventennio, in un crescendo che sfiora l’apoteosi, assistiamo a celebrazioni quotidiane del mercato senza regole e del primato dell’impresa. Una macchina propagandistica impermeabile a ogni indicatore di sofferenza: dalle vittime dell’inquinamento ai crac finanziari. Nei Tg si riferisce spensieratamente dell’ennesimo bollettino sui cambiamenti climatici e un attimo dopo si esalta la crescita del mercato dell’auto. Qualunque pensiero critico è assente o soverchiato dall’incessante rumore di fondo della propaganda mercantile.
Bene. A Trento hanno pensato che tutto ciò non bastasse. Per glorificare la dimensione economica della vita umana ci vuole un bel festival. Detto, fatto: nel 2006 la prima edizione. La Provincia autonoma vi ha destinato 600 mila euro, altri 100 mila vengono dal Comune di Trento e ai rimanenti 450 mila pensa una serie di sponsor privati con in testa Banca Intesa [250 mila] e le assicurazioni Generali [150 mila]. Nel comitato promotore non manca l’Università di Trento e in quello organizzatore trovano posto Il Sole 24 ore [giornale della Confindustria] e l’editore Laterza. Quest’anno ci sono tutte le premesse per replicare in grande stile, dal 30 maggio al 3 giugno, la simpatica kermesse: una sfilata di Vip del liberismo e dintorni, da Romano Prodi a Pietro Ichino. Possibilmente, però, in salsa agrodolce e «politicamente corretta»: il Trentino, si sa, è margheritino. Ecco affiorare l’impronta del noto gruppo di economisti de Lavoce.info: il coordinatore scientifico del festival è Tito Boeri, docente di economia alla Bocconi (come altri protagonisti del festival) secondo il quale l’obiettivo è «spiegare l’economia a tutti». Proprio così: spiegare.
Il titolo rassicurante della rassegna, «Capitale umano, capitale sociale», riprende una definizione del premio Nobel americano Gary Becker, esponente ultraliberista della scuola di Chicago, che naturalmente sarà ospite a Trento. Il concetto, che a un primo impatto potrebbe apparire evanescente o fin troppo banale, in verità racchiude una nozione precisa e dai tratti piuttosto inquietanti: «La forza di un’economia è legata alle condizioni della collettività [istruzione, competenze, salute…], il successo dipende dalla capacità di una nazione di utilizzare la sua gente». Becker, per esempio, dà la sua interpretazione delle diseguaglianze di reddito negli Usa riconducendole al gap di formazione: dunque, basta far studiare di più i poveri, smettiamola con l’idea che abbiano senso politiche fiscali perequative. Abbiamo capito: il sistema non si discute, si tratta di plasmare gli individui per servire meglio il mercato e far girare l’economia.
E all’Italia, in un’intervista di questi giorni, questa star liberista del Festival trentino suggerisce “riforme impopolari, più flessibilità dei lavoratori e meno pensioni”.
Interessante, fra l’altro, osservare che lo stesso Becker è uno strenuo sostenitore della pena di morte. Evidentemente, anche a Stoccolma si prendono abbagli in fatto di economia, liberismo e Far West.
A proposito, Tito Boeri (che su Becker se la cava dicendo che a Trento non parlerà di pena di morte), nel settimanale Internazionale uscito a fine aprile si duole della scarsa fiducia dei francesi nella «economia di mercato»: menziona un sondaggio dal quale emerge che solo il 36% dei transalpini considera il liberismo «il miglior sistema possibile», contro il 66% dei britannici e il 71% dei nordamericani Usa. Davvero un cruccio per il professore, che volge volentieri il suo sguardo critico sui lavoratori poco inclini a rischiare in Borsa le loro pensioni (e magari pure fannulloni nel pubblico impiego) e sui sindacati conservatori. La crescente aggressività dell’imprese non sembra preoccupare Boeri e la gran parte dei suoi colleghi [così come molti giornalisti e politici], intenti a predicare la infallibilità del dogma liberista [massima concorrenza, flessibilità dei lavoratori, privatizzazioni, liberalizzazioni eccetera]. Se del caso, ci aggiungono una spruzzatina di stato sociale, giusto per restituire alle aziende un po’ di denaro pubblico sotto forma di ammortizzatori che, se da un lato dovrebbero alleviare la sofferenza del cittadino precario, dall’altro consentono alle imprese di assumere condotte più violente al proprio interno [sui lavoratori] e verso l’esterno [sui consumatori].
Gli opinionisti e i politici più o meno aderenti al gradiente del pensiero unico [da destra a sinistra] non perdono colpo eppure non sempre riescono a scalfire la diffidenza popolare [si veda il caso del Tfr da «giocarsi» sui mercati]. Forse, perché non convince chi decanta flessibilità e rischio ma gode di stipendio generoso e stabile corroborato da prestigiose e profumate consulenze. Per essere più credibili, prima di pretendere la precarietà altrui si dovrebbe rinunciare alla propria lauta stabilità. Chissà perché ci viene in mente il vecchio «socialista svitato» Thorstein Veblen e la sua teoria della classe agiata…
Per restare agli scandinavi americanizzati, ma in epoche e formule assai più grevi, appare sintomatica, nel programma trentino, un’enfatica presentazione del «modello danese di flexicurity». Questo, in realtà, come ha doviziosamente illustrato Bruno Amoroso, allievo di Federico Caffè e da anni professore all’ateneo di Roskilde, nonché collaboratore di Carta, rappresenta un’accelerazione dell’assalto allo stato sociale e ai tradizionali principî di solidarietà che ostacolano il dominio del mercato globale sulla vita dei cittadini governati da anni da fedeli scudieri di George W. Bush. Anche qui siamo a modelli reazionari spacciati per «riformismo».
Il Festival di Trento nel complesso appare una grande operazione di distrazione e confondimento. Salvo poche eccezioni [come l’intervento dell’economista «ecologico» Partha Dasgupta], sorvola sulle criticità sistemiche del mercato. E consolida nell’immaginario collettivo l’illusione di un’economia come terreno «neutrale» sul quale si dispiega l’opportunità di benessere per noi tutti. Non solo è assente ma viene di fatto occultata nel discorso pubblico l’analisi, suffragata da valanghe di dati empirici, dei fallimenti del neoliberismo [beni comuni, servizi pubblici, lavoro, precarietà, danni all’ecosistema, diseguaglianze di reddito e di salute e via elencando]. Parimenti, latita una riflessione su una prospettiva economica alternativa, più equilibrata, democratica e sostenibile. In altre parole: non si fa l’unica cosa che darebbe senso a un festival e ci si dedica a temi marginali che non minacciano il paradigma dato.
D’altra parte, che cosa aspettarsi da un’istituzione come la Provincia autonoma di Trento che non ha saputo minimamente orientare verso la costruzione di modelli alternativi al degrado mercantile la sua facoltà di autogoverno e i privilegi finanziari che ne conseguono. Il liberismo avvolge il Trentino, dai grandi giochi societari pubblico-privati alle devastazioni dell’edilizia e del traffico. Ma qui ci si può permettere anche di celebrarlo in piazza. Con denaro pubblico.

[ Questo articolo è stato pubblicato nell’inserto EstNord del settimanale Carta – www.carta.org ]

nonluoghi

nonluoghi

Questo sito nacque alla fine del 1999 con l'obiettivo di offrire un contributo alla riflessione sulla crisi della democrazia rappresentativa e sul ruolo dei mass media nei processi di emancipazione culturale, economica e sociale. Per alcuni anni Nonluoghi è stato anche una piccola casa editrice sulla cui attività, conclusasi nel 2006, si trovano informazioni e materiali in queste pagine Web.

More Posts

ARTICOLI CORRELATI