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Assilli quotidiani

Editorialisti riveriti e professori applauditi da altrettanti politici ci spiegano da tempo, sui giornali in radio e in tv, che il problema dell’essere umano nella sua dimensione individuale e collettiva è la scarsa propensione a dedicare tanto tempo flessibile a lavorare duro per arricchire pochi altri e possibilmente senza certezze sul giorno dopo, a indebitarsi per comprare automobili e case, a spendere e spandere per far girare il mercato, a convivere con inceneritori mega-tunnel viadotti gassificatori e altre grandi opere necessarie al Progresso, ad accettare di buon grado che istruzione, sanità e pensioni garantite in fondo erano miraggi durati pochi decenni di follie nella spesa pubblica, a rendersi conto che se l’acqua non diventa un business privato finiremo senza i soldi per gli acquedotti che se non accetteremo l’idea che siamo in guerra contro un nemico diabolico, finiremo molto male eccetera. Noi tutti, poi, dovremmo tenere presente che il nostro vero problema quotidiano sono gli statali fancazzisti e la scarsità di taxi in Italia.
Illuminante, fatta questa premessa, il seguente materiale tratto dal quotidiano Il manifesto ( www.ilmanifesto.it ) del 6 settembre 2006. Buona lettura e non incazzatevi troppo.

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Alitalia e Fs, cifre da sturbo

Fr. Pi.

In Italia l’esempio di Gallois farà probabilmente venire l’orticaria. Tra i manager di grandi aziende, infatti, le cifre cui il francese rinuncia sono la norma o quasi. Due sono però le perle da segnalare. I compensi dei manager crescono proprio mentre le aziende che dirigono sono in grave difficoltà; in secondo luogo, si affrontano i problemi di bilancio tagliando i posti di lavoro e congelando di fatto i salari dei dipendenti. Restiamo nel solo settore aereo e facciamo un po’ di confronti. Al 31 dicembre 2004, Air France dichiarava un utile di 98 milioni di euro; il suo amministratore delegato, il signor Spinetta, nel biennio 2004-2005, ha ricevuto un compenso di 550.000 euro e un bonus (per i buoni risultati) di 160.000 euro, pari a un compenso mensile di 59.166 euro. Non male, neppure lui. La concorrente inglese, British Airways, dichiarava invece un utile di 333 milioni di euro; il signor Rod Eddington, amministratore delegato, riceveva un compenso annuo di 517.813 euro, un bonus di 258.907, ossia uno stipendio mensile di 64.750 euro. La compagnia olandese KLM, nello stesso periodo, ha dichiarato un utile di 261 milioni di euro; l’amministratore delegato, il signor Van Wijk, nel biennio 2004-2005 ha ricevuto un compenso di 653.709 euro, un bonus di 429.731, pari a una remunerazione mensile di 90.333 euro. Neppure lui è però il più pagato. Al 31 dicembre 2004 Alitalia ha dichiarato una perdita di quasi 813 milioni di euro. Per questo brillante risultato il signor Giancarlo Cimoli, amministratore delegato e presidente, dal 6 maggio (giorno del suo insediamento) al 31 dicembre 2004 ha ricevuto un compenso di 1.522.996 euro, pari a una remunerazione mensile di 190.375 euro. Sullo stipendio di Elio Catania, presidente delle Fs stato, non si hanno notizie certe, ma sembra aggirarsi intorno ai 2 milioni di euro e mezzo. E per fortuna l’azienda (che ha in 15 anni ridotto il presonale di oltre il 50%) perde 1,3 miliardi di euro. La sua permanenza sulla poltrona è questioni di pochi giorni ancora, pare. C’è infatti il problema di mettersi d’accordo sulla sua buonuscita: il governo gli offre 5 milioni (di euro, naturalmente), mentre lui ne vorrebbe 9. Bisogna capirli, in fondo. Cosa volete che siano queste cifre di fronte a quello che ha potuto fare uno come Lee Raymond? Il supermanager della Exxon Mobil, infatti, nel 2005 ha ricevuto (o si è dato) un emolumento di 400 milioni di dollari, oltre un milione al giorno, 191 mila dollari l’ora.

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E per buonuscita, tremila anni del tuo stipendio

L’America in Europa Parlando di competitività: i guadagni dei supermanager
Sta ormai esplodendo in Francia – ma la situazione altrove non è tanto diversa – lo scandalo delle retribuzioni folli che i grandi manager si auto-attribuiscono, in un mondo sempre più alieno: a un estremo profitti e stipendi incredibili, all’altro licenziamenti, precarietà e paghe «cinesi», in nome della concorrenza. Qualcuno si tira indietro: il «caso Gallois», un dirigente del consorzio Airbus che rifuta la superpaga prevista per lui, alimenta la discussione
Anna Maria Merlo
Parigi
Louis Gallois, da qualche mese co-presidente (francese) del consorzio Eads (la casa madre di Airbus), ha fatto sapere di aver l’intenzione di rifiutare l’aumento di stipendio del 1200% che gli spetta: un aumento che porterebbe cioè la sua retribuzione a circa 2,33 milioni di euro l’anno – quello che guadagnava il suo predecessore Noël Forgeard. Quest’ultimo ha dovuto lasciare il posto dopo lo scandalo di insider trading che lo ha travolto.
Gallois, un manager che viene dal settore pubblico, si accontenta di guadagnare, alla testa del gigante Eads, la stessa cifra che percepiva nella sua carica precedente: come presidente della Sncf, le ferrovie francesi, il suo stipendio era di «soli» 180mila euro l’anno. Ma l’altro co-presidente di Eads, Thomas Enders (tedesco) non è per nulla d’accordo: gli statuti del consorzio Eads stabiliscono difatti che i due co-presidenti devono guadagnare la stessa cifra e lui non ha nessuna intenzione di ridurre così drasticamente le proprie entrate perché il suo collega vuol farlo.
Gallois è un’eccezione nel mondo dei grandi manager. E’ considerato vicino alla sinistra, che lo aveva nominato alla testa della Sncf. Ma le sue capacità hanno spinto il governo De Villepin a sceglierlo per succedere a Forgeard e rimettere ordine nel consorzio Eads, dopo il crollo del titolo in Borsa, la scorsa primavera: un calo che ha toccato meno 43%, un vero terremoto che aveva fatto seguito alla diffusione di informazioni sui ritardi nella consegna del nuovo supergigante dei cieli, l’A380, e sui problemi dell’altra novità di casa Airbus, l’A350, che dovrebbe fare concorrenza al Boeing «Dreamliner». Noël Forgeard aveva dovuto lasciare la carica di co-presidente dopo che era venuto alla luce il modo in cui il megamanager aveva realizzato 2,5 milioni di euro di plusvalenze: vendendo cioè un pacchetto di stock options, ottenute come benefit a complemento del già favoloso stipendio, appena qualche settimana prima di rivelare al grande pubblico (e agli azionisti) le difficoltà dell’A380.
Contrasti vergognosi
In Francia, dopo che negli Stati uniti, sta crescendo molto la polemica sugli alti stipendi. Mentre il governo De Villepin, a pochi mesi dalle presidenziali, ha aumentato gli aiuti alle famiglie più povere, secondo i dati del gabinetto Proxinvest, in media in Francia i presidenti delle principali 40 società quotate alla Borsa di Parigi (il «Cac 40») guadagnano circa 400 volte lo Smic, il salario minimo. A luglio, come ogni anno, lo Smic è stato rivisto con un aumento del 3% ed è ora a 1.254 euro lordi al mese, che significa non più di mille euro netti in tasca per il lavoratore. Tre milioni di dipendenti, cioè il 17% della forza lavoro nel settore privato, guadagnano lo Smic, ma per 63 categorie (su 158) lo stipendio orario minimo è sotto lo Smic. Per ragioni elettorali, De Villepin ha deciso all’inizio del mese di venire incontro alle famiglie in maggiore difficoltà: il «premio per l’occupazione», che viene versato ai disoccupati che accettano un’occupazione (per rendere attraente il ritorno al lavoro rispetto agli assegni sociali) è stato portato a 940 euro l’anno, per un dipendente che percepisce lo Smic (ma molti hanno in questi giorni la brutta sopresa di dover restituire una parte di quello che hanno ricevuto, a causa di un diverso modo di calcolo adottato). A titolo di paragone, Lindsay Owen-Jones, il presidente (gallese) de l’Oréal, il gigante della cosmetica, guadagna intorno ai 6 milioni di euro l’anno.
L’economista Thomas Piketty ha calcolato che tra il 1997 e il 2002 i cinque più alti stipendi delle grandi imprese francesi sono cresciuti del 50 per cento: «Mentre il Cac 40 perdeva il 33%, le remunerazioni dei dirigenti di quei grandi gruppi sono aumentate del 13% in media ogni anno». La follia degli alti stipendi non tocca solo il settore privato. Alle Poste francesi, ancora pubbliche, nel 2005 i dieci più alti stipendi sono aumentati del 16,5%, mentre l’aumento medio di tutti i loro dipendenti è stato solo dell’1,2%.
In Borsa piovono miliardi. Negli ultimi 12 mesi le banlieues sono andate in fiamme, la disoccupazione ha continuato a sfiorare il 9%, i giovani hanno protestato due mesi contro il precariato dilagante: ma la Borsa non è stata per nulla scossa dai terremoti sociali e le società del Cac 40 hanno realizzato utili record – 84 miliardi di euro nel 2005.
Dividendi a go-go
Una cifra mirabolante, che significa che queste società, ogni giorno, realizzano 1,5 miliardi di euro di profitti netti. Total, campione tra i campioni, ha chiuso l’anno con 12 miliardi di euro di profitti: cioè, come ha sottolineato il suo presidente Thierry Desmarest, in due settimane del 2005 il gruppo ha fatto altrettanti utili che in tutto il 1995. E in cinque anni ha distribuito più di 35 miliardi di euro di dividendi. Il segreto di Total: il 95% degli utili provengono dalle attività internazionali, fuori di Francia. Complessivamente, le società del Cac 40 realizzano solo il 35% delle loro vendite complessive in Francia (sono più internazionali di quelle Usa o giapponesi, che restano «nazionali» al 75% per le loro vendite).
C’è chi parla ormai per la Francia (ma il discorso vale per ovunque) di una società di caste, dove i due estremi, in alto e in basso, non vivono più sullo stesso pianeta. Da un lato dei gruppi internazionalizzati e prosperi, con dei presidenti superpagati (in media 5,6 milioni di euro l’anno per le società del Cac 40) e degli azionisti che incassano bene (la quota del pil rappresentata dai dividendi è raddoppiata in dodici anni e tocca ormai l’11%): nel 2005 gli azionisti delle società comprese nel Cac 40 hanno intascato in dividendi 22,8 miliardi di euro – ma la metà di loro sono stranieri. Dall’altro i precari e i disoccupati, che non arrivano alla fine del mese. In mezzo, una fetta ancora consistente ma sempre più sottile di dipendenti ben remunerati, la vecchia middle class in via di restringimento.
E’ la Francia a due o a più velocità. Gli utili favolosi non vengono reinvestiti in Francia né creano posti di lavoro (88mila posti di lavoro persi nel 2005 nell’industria francese). France Telecom ha potuto annunciare, nello stesso giorno, utili-record e la soppressione di 1700 posti di lavoro. Il ministro delle finanze, Thierry Breton, si allarma: le grosse società non investono sufficientemente in ricerca (rappresenta solo l’1,35% della loro attività economica in media). Le manifestazioni contro i «licenziamenti di Borsa», come alla Hewlett-Packard, non sembrano aver avuto nessun effetto.
Il sistema francese ha sposato le remunerazioni dei grandi manager all’americana con il sistema molto latino degli intrecci incestuosi nei consigli di amministrazione, dove compaiono sempre gli stessi nomi (e sono i consigli di amministrazione che fisssano gli stipendi dei presidenti, «je te tiens, tu me tiens» come recita una filastrocca per bambini). Al lato opposto, i manager sognano per i loro dipendenti degli stipendi che si avvicino a quelli cinesi, in nome della «concorrenza». In dieci anni, lo scarto tra i due poli della catena è cresciuto a dismisura. A lungo più basse dei loro omologhi statunitensi, le remunerazioni dei manager francesi si sono allineate agli standard d’oltreatlantico, ma senza neppure – come laggiù – un legame con la riuscita dell’impresa. L’anno scorso Daniel Bernard, presidente di Carrefour, licenziato dagli azionisti, è partito con una busta di 39 milioni di euro, pari a tremila anni di stipendio di una cassiera di quella catena di supermercati.
«Zach», l’ingordo
Ma a volte il meccanismo si inceppa. E’ accaduto a Antoine Zacharias, presidente di Vinci, prima impresa di lavori pubblici mondiale, discendente privata della pubblica Générale des eaux. Nel giugno 2005 «Zach», il manager più pagato di Francia, aveva deciso di andare in pensione dalla carica di presidente e limitarsi a conservare la presidenza non esecutiva del consiglio di amministrazione della società. Aveva ricevuto un pacchetto di 50 milioni di euro come buonuscita (che si aggiungono a 170 milioni di euro di stock options e a una pensione di 2,2 milioni di euro l’anno). Ma Zach ha voluto anche un «premio» di 8 milioni di euro, come ricompensa per aver ottenuto la concessione delle Autostrade del sud, vendute dallo stato. Il suo successore, Xavier Huillard, si è ribellato e ha messo in guardia contro «l’emozione incontrollabile dell’opinione pubblica e dei media (che) vi farà e farà correre a Vinci importanti rischi di destabilizzazione». Zach, diventato il simbolo delle derive del «denaro folle», ha così perso il posto di presidente del consiglio di amministrazione (che gli avrebbe portato un complemento di reddito di 80mila euro l’anno come gettone di presenza) ed è stato sostituito da Yves-Thibaut de Silguy.

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Questo sito nacque alla fine del 1999 con l'obiettivo di offrire un contributo alla riflessione sulla crisi della democrazia rappresentativa e sul ruolo dei mass media nei processi di emancipazione culturale, economica e sociale. Per alcuni anni Nonluoghi è stato anche una piccola casa editrice sulla cui attività, conclusasi nel 2006, si trovano informazioni e materiali in queste pagine Web.

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