Nonluoghi Archivio Contro l’egemonia del pensiero unico

Contro l’egemonia del pensiero unico

di Andrea Gallina *

Una realtà dei fatti non esiste. Ci sono interpretazioni, giudizi di valore e pregiudizi che rendono gli avvenimenti e le analisi fortunatamente non oggettivi. Fortunatamente perché altrimenti significherebbe che esiste “un mondo”, “una cultura”, “una economia” e “una democrazia”. Invece, la realtà in cui viviamo è un multiverso, un insieme di universi la cui somma è superiore a quella della somma dei singoli cosmos che lo compongono singolarmente. Questa affermazione non esclude, anzi rafforza, il fatto che ci sono degli “invarianti” nella vita umana. Ogni donna e uomo mangia, dorme, ama, muore. Ma, ci insegna Pannikar, donne e uomini mangiano, dormono, amano e muoiono in modo diverso. Si tratta di relativizzare gli invarianti umani. Due più due fa quattro dove il due e il quattro non significano nulla.
La portata di questa affermazione è quindi enorme: come vivere in un mondo in cui ci sono molte democrazie? Molti mercati? Molti standard di qualità? Molti modi di educare i propri figli? In tal caso la missione del prete con la pistola (G. W. Bush Jr.) di occidentalizzare il mondo diventerà impossibile (…da solo)? O che ne sarà delle “raccomandazioni” delle inchieste dell’OCSE o della Banca Mondiale su come devono funzionare e cosa devono insegnare le scuole del mondo?
Uscire dall’accademic correct e dai convenzionalismi non è compito facile in una situazione in cui il pensiero liberalconservatore si è impadronito dei media e delle istituzioni culturali più importanti e più influenti. Ma in uno dei coni d’ombra in cui non arriva il segnale del pensiero unico si è inserita un’iniziativa culturale di ampia portata con l’ambizione di “smascherare l’ideologia pan-economica che ci tiene in pugno e invade le nostre vite, imponendo la sua tirannide/dittatura a noi e alla realtà stessa…”. La rivista InterCulture (Città Aperta edizioni) sbarca in Italia direttamente da Montreal sotto la direzione di Arrigo Chieregatti e Bruno Amoroso, e con il sostegno morale di Raimund Pannikar. L’edizione italiana, tre numeri all’anno, sarà per due terzi la traduzione dei corrispettivi numeri canadesi e per un terzo la riproduzione di articoli prodotti nel lavoro di elaborazione degli ultimi quaranta anni. Un progetto questo paragonabile a quello di Alfredo Salsano con la traduzione in italiano della rivista del movimento antiutilitarista Mauss coordinato da Serge Latouche e Allain Caillè (autori non a caso di vari articoli nella versione canadese di InterCulture). Un’iniziativa a tutto campo, in grado di far conoscere in Italia un dibattito che in Canada e Stati Uniti è iniziato da mezzo secolo in cui si confrontano antropologi, filosofi, economisti e sociologi con in comune un punto importante e cioè che “nessuno, ovviamente, può decretare o forzare a priori il significato di una parola. Questo è anche vero per parole come economia, mercato, ricchezza, prezzo, denaro, sviluppo, modernità, terrorismo, etc. Sarebbe sbagliato attribuire a queste parole un senso esclusivamente positivo o negativo” (citaz. dall’editoriale). Non sarà questo solo un gioco di semantica per relativizzare parole e i concetti e dimostrare quanto è fatto male l’occidente opulento e annoiato, ma invece un lavoro di analisi della crisi della modernità da più punti di vista e non sempre occidentali.
Dal primo numero la portata degli articoli mostra già tutta la profondità e necessità di introdurre la dimensione interculturale e interdisciplinare nel campo delle scienze sociali. Un’impellenza che troverà molto probabilmente un muro di gomma nei molti circoli intellettuali borghesi di destra e sinistra italiani, afflitti dalla correctedness a tutto spiano, ma che senza dubbio aggiungerà un’altra voce al coro critico che si è stato sollevato ed è in costante crescita sotto la spinta di iniziative come Carta.
Infatti il messaggio che arriva da queste letture è che il bisogno di de-colonizzare l’immaginario economicista, della de-crescita economica, della de-globalizzazione delle regole, della de-commodificazione delle relazioni, della de-monetizzazione delle nostre vite, della de-privatizzazione dei beni comuni e, in sostanza, della de-occidentalizzazione del mondo è sull’agenda di molti intellettuali che difficilmente saprebbero sopravvivere in un contesto diverso da quello attuale e che spesso sono i primi a non rinunciare a stili di vita che alimentano la spirale consumistica-individualista oggetto delle loro critiche. Il pregio maggiore di InterCulture è forse proprio quello di portarci i punti di vista di intellettuali “meno corrotti” sul piano personale.
L’articolo principale del primo numero è di Derek Rasmussen, un militante per la pace e un insegnante di meditazione, che ha deciso di vivere da più di dieci anni nel territorio Inuit del Nunavut dove lavora come consulente politico presso gli Inuit. La pregnanza dei suoi argomenti è lacerante. In quale società del benessere viviamo se una persona non fa altro che aspettare le cinque del pomeriggio o il venerdi per sentirsi libero e padrone del proprio tempo? In realtà in questa costante attesa che il tempo trascorra rapidamente non stiamo affrettando la venuta della nostra morte desiderando che tutto passi più in fretta? A causa dell’ideologia del denaro, scrive Derek Rasmussen, abbiamo costruito una prigione intorno a noi con muri molto più imponenti perché stanno nelle nostre menti: “Diciamo che il tempo è denaro; per questo inscatoliamo il nostro tempo di vita, le nostre ore di vita – le mettiamo in un contenitore e le vendiamo al miglior offerente. Cosi’ diventiamo proprietà di qualcuno. Non si tratta di schiavitù –che è più dispendiosa e meno sofisticata-, si tratta di leasing umano. È affitto umano, con i costi di manutenzione e assicurazione che ricadono sulla persona che presta la propria opera, non su chi la prende in affitto (il datore di lavoro). E noi non vediamo l’ora che arrivi la scadenza del nostro contratto di affitto, che ci venga restituito il nostro corpo”. Questa breve citazione mostra l’importanza di riscoprire un’antropologia economica in grado di spostare la lente di ingrandimento dai paesi ‘esotici’ e ‘sottosviluppati’ sui paesi ricchi per capire non “come” o “cosa” hanno fatto per essere così ma capire invece il “perché”, le motivazioni che li hanno spinti a diventare sempre più ricchi. Ma, essendo la lente di ingrandimento in mano ai paesi ricchi è praticamente impossibile puntarla su di loro e comprendere le ragioni della loro obesità economica, del loro “sovrasviluppo” (categoria tra l’altro inesistente). E tutto ciò è stato possibile grazie alla maggiore delle innovazioni sociali dei nostri tempi, l’equivalente sociologico alla fissione dell’atomo, e cioè l’esaltazione dell’individuo a spese della famiglia e della comunità. Nelle società non ancora modernizzate, le spinte che portarono a questa scissione, come ad esempio le relazioni mercantili, sono limitate nello spazio, nel tempo e nel raggio d’azione e quindi subordinate alle società. Oggi, invece, nelle società moderne il mercato ha incapsulato le comunità umane attraverso la proprietà individuale (a partire da quella della terra) e il denaro. Insomma, a chi cerca di spiegare e convincere che il capitalismo è processo ineluttabile e naturale perché radicato nella natura umana, si puo’ rispondere che “È possibile, ma lo era anche il cannibalismo” (Kierans, in Rasmussen, p. 24).
Il resto del primo numero della rivista include una bellissima testimonianza dall’antropologo cherokee Robert K. Thomas su come gli uomini bianchi hanno stabilito la legge del denaro, e una serie di articoli che presentano il lavoro dell’Istituto Interculturale di Montreal (fondato nel 1963) e dei gruppi di ricerca-azione di alternative interculturali che lo compongono. Un luogo senza dubbio affascinante in cui si studia quella “terra di nessuno” che è l’interculturalità e in cui, tra le mille difficoltà che il non convenzionalismo accademico comporta, da più di quaranta anni si continua a svolgere un lavoro di ricerca, educazione e insegnamento e produzione di materiali avente l’obiettivo di trasformare la società attraverso sia la manifestazione del dissenso che l’ideazione di stili di vita alternativi.

nonluoghi

nonluoghi

Questo sito nacque alla fine del 1999 con l'obiettivo di offrire un contributo alla riflessione sulla crisi della democrazia rappresentativa e sul ruolo dei mass media nei processi di emancipazione culturale, economica e sociale. Per alcuni anni Nonluoghi è stato anche una piccola casa editrice sulla cui attività, conclusasi nel 2006, si trovano informazioni e materiali in queste pagine Web.

More Posts

ARTICOLI CORRELATI