Nonluoghi Archivio Berlusconismo duro a morire…

Berlusconismo duro a morire…

[ Tratto da www.liberazione.it ]

di Rina Gagliardi

Un certo Sergio De Gregorio – neosenatore dell’“Italia dei Valori”, ma di lunga milizia forzitaliota, noto a Napoli per le sue operose attività giornalistico-imprenditoriali – è stato eletto ieri presidente della Commissione difesa del Senato con i voti compatti del centrodestra. Un esempio, ahimé non inedito, della peggiore pratica trasformistica. Un’imboscata parlamentare in piena regola, forse maturata nella notte forse messa a punto da giorni – fa lo stesso. Un evento che ci rifiutiamo di ascrivere alla politica, a meno di scrivere il sostantivo con almeno una dozzina di P minuscole: esso appartiene piuttosto al sotto-sotto-bosco della “politica” intesa come potere, poteruccio, agguato, conquista di prebende, titoli e posti. Il sen. De Gregorio, probabilmente, non trova alcunché da ridire sull’antica, italianissima filosofia del “Franza o Spagna purché se magna”: sta cioè con chi lo elegge. I voti del popolo dell’Unione prima, i voti dei senatori del centrodestra poi – domani chissà. Intanto, i vertici militari possono tirare un sospiro di sollievo: non ci sarà, a capo della commissione difesa di Palazzo Madama, una pacifista autentica come Lidia Menapace. Una donna dotata del “vizio” dell’autonomia critica, una intellettuale femminista che è stata – ed è – protagonista della politica (quella vera) e dei movimenti, non può aspirare a un ruolo istituzionale di questo livello: rompe uno schema, inquieta. Il pacifismo, la nonviolenza, fanno paura. Al di là delle sue dinamiche miserevoli, il succo della giornata sta, al fondo, nella manifesta difficoltà di forzare i limiti – le compatibilità – attuali della politica, e del sistema di poteri a cui la politica fa riferimento. Già una donna di sinistra, sempre ieri, era ascesa alla commissione difesa della Camera: se la scelta dell’Unione fosse andata in porto anche al Senato, il Parlamento avrebbe espresso una “quota rosa” integrale, proprio sul terreno delle politiche militari. Anche la preoccupazione per un’”accoppiata” così inedita deve aver messo in moto il meccanismo che alla fine ha premiato il nostro, cioè il loro, De Gregorio. E dunque? Dunque, oltre l’amarezza e il senso bruciante di una battuta d’arresto, “la lotta continua” – la ragione pacifista non si misura certo sull’orizzonte di questa o della prossima legislatura.

Ma “la lotta continua” anche in un senso più generale, in una fase in cui si va finalmente esaurendo il lungo lavoro di riassetto istituzionale e si profila l’avvio delle scelte concrete, della politica “di merito”. Che cosa ci indicano l’episodio De Gregorio e altri consimili, non positivi segnali, di provenienza senatoriale?

Ci dicono che la “zona grigia” del parlamento, quella che sta permanentemente al confine tra maggioranza e opposizione, quella che è abitata dai degregorio, dai pallaro e da altre ineffabili creature, alza il prezzo: attiva, vale a dire, il mercato della compravendita, una specie di riedizione dell’antico commercio delle indulgenze. Gioca le sue carte nel momento più propizio – quando i nuovi equilibri si vanno ridefinendo e riassestando, e sui terreni più favorevoli – nel ramo del parlamento dove le maggioranze di un solo voto sono spesso la regola. Naturalmente, l’operazione non è né innocente né puramente endogena: è parte di un processo che ha fuori del Palazzo, nei poteri e negli interessi “forti” del paese, i suoi punti di riferimento reali. Basti leggere gli editoriali quotidiani del “Corriere”, la battente campagna contro la sinistra – e la sinistra radicale – e a favore di una svolta neocentrista condotta dal più autorevole giornale italiano. Bastino gli interventi di Confindustria. O la mobilitazione di segno neoconfessionale, che attraversa gli schieramenti e stabilisce presidi significativi anche all’interno dell’Unione. Tutto questo, in verità, era largamente prevedibile – era annunciato. Ora, si fa iniziativa politica, e politico-culturale. Ma non ci sono complotti diabolici, o “piani del capitale” all’opera per l’ennesima volta: le forze economiche, sociali, culturali, i corpi sociali e gli aggregati che si oppongono al cambiamento sono molti, e operano su molti piani con modalità convergenti. Il bersaglio è il profilo riformatore che il nuovo esecutivo, il presidente del consiglio e alcuni dei suoi ministri, hanno finora espresso. L’obiettivo dichiarato è spostare a destra il governo – quello meno dichiarato, ma forse ben più determinato, è quello di fermarne il cammino. Sia ben chiaro: tra difficoltà e contraddizioni pur molto evidenti, il “destino” politico di Romano Prodi è legato, ovvero non è davvero scindibile, dalla capacità dell’Unione di tener fede al suo programma, alla sua composizione politica reale, al suo mandato elettorale. Anche questo i poteri forti lo sanno bene. Perciò moltiplicano i messaggi, usano una tastiera assai ampia di intervento, non trascurano la più piccola debolezza che si manifesti all’interno del nostro schieramento.

Da questo punto di vista, viene in evidenza una delle certezze che abbiamo (almeno noi) reso esplicita fin dalla campagna elettorale: battere Berlusconi è solo la prima tappa, ineludibile, di un impegno di assai più lunga lena, che era e resta l’uscita dal “berlusconismo”. Ma per svolgersi in termini efficaci e vincenti, questa battaglia non può certo esaurirsi né solo all’interno dei recinti della politica ufficiale, né nella dialettica prevalente della maggioranza: ha bisogno di ben altro spazio, di ben altra corposità. Ha soprattutto bisogno di protagonisti non istituzionali, di nuovi soggetti, di “ingombri” sociali, di movimenti reali, capaci di occupare la scena e di influenzare, così, le scelte della politica. Ha bisogno vitale, insomma, di allargare la platea effettiva dei partecipanti e dei decisori. Non l’aveva detto Romano Prodi, non l’avevano detto molti di noi, che al primo posto di un programma riformatore c’era la partecipazione critica di popolo, la pratica di una “terza via” che supera le antinomie tradizionali, tra il governismo e l’antigovernismo, tra il realismo delle compatibilità e la deriva protestataria, tra la delega e la fuga? Bene, ora è il momento di farlo. E di mettere in campo i nostri “contropoteri forti”.

8 giugno 2006
[ da www.liberazione.it ]

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