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Diritto d’impresa e diritto del lavoro

di Mariella Caressa *

Al di là del titolo, che appare un’etichetta per esperti, Diritto d’impresa e Diritto del lavoro (spunti critici nell’era della globalizzazione) è un libro che si legge nel tempo di un respiro. Scritto in demotica piuttosto che in katharevussa, (cioè alla portata di tutti e non solo dei competenti) non perde il carattere erudito e intellettuale e riesce a divulgare il sapere critico con un linguaggio semplice e circostanziato. Il diritto d’impresa si allarga con le sue maglie creando frotte di lavoratori senza diritti, frammentati in miriadi di condizioni diversificate: nello stesso luogo si trovano contratti d’ogni tipo (interinali, intermittenti, CoCo, ecc), che impediscono una qualsivoglia omogeneizzazione per una rivendicazione sindacale comune.
Il diritto del lavoro è una merce di scambio per ammortizzare qualsiasi speranza di rivoluzione sociale. Il potere ‘concede’ solo e se in qualche misura ne ricava vantaggio. E non è neanche poi così scontato che democrazia faccia coppia con diritto del lavoro: quest’ultimo infatti può svilupparsi nei regimi dittatoriali ed essere assente nelle democrazie.
Il diritto internazionale, che avrebbe dovuto regolare le controversie degli stati per bandire la guerra come modalità di risoluzione delle stesse, muore nel 1999 con l’attacco militare alla Jugoslavia.
Le regole del mercato nell’era della globalizzazione infrangono in generale tutti i diritti, facendo prevalere il negotium, cioè il contratto tra le parti in cui, sotto il velo dell’uguaglianza, si nasconde la forza del più forte contro il diritto del più debole. Così, allo stesso modo, le Corti sovranazionali e internazionali, autonome dagli stati, si inerpicano nella nuova visione pattizia del diritto con le sue certezze sempre e solo volatili e relative.
E’ una nuova era in cui la Lex mercatoria si sostituisce progressivamente al diritto – tutto – nel pianeta. È il mercato, e solo il mercato, che detta le regole, le sceglie, le muta, ne determina i tempi e le modalità.
Il libro è, cosa rara di questi tempi, una goccia di libero pensiero, che corre da solo contro tutte le più ingannevoli convenzioni comuni. Con gli occhi freddi del giurista ed il cuore caldo, ancora, di umanità Di Stasi scruta il fondo della sua materia – il diritto del lavoro – di cui è docente, e le connessioni con la politica, l’etica, la filosofia e la storia, evidenziandone le criticità ed incongruenze odierne rispetto al significato originario.
Trova il coraggio di denunciare le contraddizioni, nella società globalizzata – ma non solo -, di ciò che si presta ad insegnare re-individuando un approccio socratico del sapere, un tempo consentito, ma che nel grigiore dell’etica in declino appare, oggi, rivoluzionario.
E le sue conclusioni, come statue di sale, inquietano ancor di più perché scolpite da un giurista e non offrono allo spettatore nessuna bolla di speranza.
Ma è giusto che sia così. Perché è da un po’ che nel mondo il pensiero libero si è spento e quando torna, se torna, non può far altro che rinascere osservando le ceneri prodotte dalla perduta intelligenza.
Questo libro mette in scacco la coscienza, ma non gli dà matto. Anzi offre la possibilità di poter cercare nuove ed altre vie di rifrazione, inventare soluzioni, ridare significato al mondo, poiché quello attuale sembra decisamente troppo stretto nelle maglie di un diritto scomparso ed un’ etica altrettanto latitante. Una riflessione amara come una medicina che però può innescare un processo di guarigione dalla pesante notte nella quale la società, tutta, sembra sprofondare.
Mariella Caressa

Articolo tratto da www.lottadiclasse.it organo dell’Unione sindacale italiana (Usi).

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