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La Chiesa superiore di papa Ratzinger

[…] Deve essere sempre chiaro, quando
l’espressione Chiese sorelle viene usata in questo senso proprio, che l’una, santa, cattolica e apostolica Chiesa universale non
è sorella ma madre di tutte le Chiese particolari 1.

I fedeli sono tenuti a professare che esiste una continuità storica — radicata nella successione apostolica — tra la Chiesa fondata da Cristo e la Chiesa Cattolica: «È questa l’unica Chiesa di Cristo […] che il Salvatore nostro, dopo la risurrezione (cf. Gv21,17), diede da pascere a Pietro, affidandone a lui e agli altri apostoli la diffusione e la guida (cf. Mt /i>28,18ss.);
egli l’ha eretta per sempre come colonna e fondamento della verità (cf. 1 Tm 3,15). 2

1) Joseph Ratzinger, Uffici della Congregazione per la Dottrina della Fede, 30 giugno 2000, Solennità del Sacro Cuore di Gesù.
2) Joseph Ratzinger, Dichiarazione Dominus Iesus, Congregazione per la Dottrina della Fede.

C’è chi si esercita in penose contorsioni cerebrali per indurci a ritenere che il nuovo papa Benedetto XVI potrebbe riservarci sorprese “illuminate”, che il mezzo secolo di oscurantismo e conservatorismo reazionario che ne ha caratterizzato l’interpretazione del ruolo religioso – e che è stato ampiamente indagato dalla stampa straniera, meno da quella italiana – in fondo non dovrebbe preoccuparci gran che. Invece ci preoccupa a trecentosessanta gradi una Chiesa cattolica romana che pretende brevetto e copyright sull’etica, la morale, la spiritualità, la vita e la morte.
Per fortuna molti preti, anche in Italia, resistono e lavorano per strada con gli umili e con le vittime (vittime anche della Chiesa di Ratzinger). Per fortuna una buona parte di umanità cattolica si fa ispirare dalla forza universale e intrinsecamente orizzontale non delle idee cristiane delle origini, ancora così vive nonostante l’operato di una certa Chiesa/madre, dalla facciata austera e dal retrobottega incerto e pallido davanti alle sfide angoscianti del reale, della vita sulla Terra da cui dipende la qualità dell’esistenza di milioni di persone; altro che il copyright sulla salvezza dell’anima.

L’elenco delle emergenze è lungo così come quello dei territori sui quali si gioca il percorso di liberazione di una Chiesa ancora così lontana da quel “Dio madre” evocato dal papa “breve” Albino Luciani. Superamento della gerarchia e del celibato; sacerdozio femminile; coerenza tra idea e prassi (no a tutte le forme di violenza, a cominciare da quella economica che stermina i popoli a Nord e a Sud del mond), no naturalmente alle guerre (ma anche ai cappellani militari e alle parate dei prelati accanto ai generali…), lotta accanto agli ultimi e agli sfruttati, nuovi percorsi di affrancamento dalla dimensione rituale vuota e a tratti superstiziosa e recupero di un orizzonte spirituale realmente prepolitico che si apra a una religiosità universale oltre le trincee delle “chiese” fra loro contrapposte. E molto altro ancora.

Di seguito, riportiamo un documento dell’interessante periodico Il Dialogo che prende le
distanze dalla visione di Ratzinger.
Nella edizione online della medesima rivista, ispirata all’idea di una
comunità cristiana “dal basso”, si trova una ricca sezione sul dibattito
scatenato negli anni scorsi dalle prese di posizione di Ratzinger che
venivano criticate anche da vescovi “progressisti”.
In basso riportiamo, a proposito delle posizioni di Ratzinger, anche una nota dell’associazione Noi siamo chiesa.

DA IL DIALOGO

Le seguenti note vogliono illustrare alcuni dei molti motivi per dire un no forte e deciso alla dichiarazione “Dominus Jesus” resa nota dal Cardinale Ratzinger all’inizio di settembre dell’anno 2000.

I motivi del nostro dissenso sono molteplici e possono essere così sintetizzati.

1.Una dichiarazione dell’ex Sant’Uffizio è di per se un “testo legale” e non un testo teologico e anche l’attuale dichiarazione ha tale significato. Per “testo legale”, intendiamo qualcosa che costituisce una sentenza, un impegno preciso e inderogabile per gli appartenenti ad un qualsiasi consesso sociale emesso da un organismo preposto al rispetto della legge e tale è la natura ed il ruolo della Congregazione di Ratzinger. Nel caso dei testi della “Congregazione della Dottrina della Fede” (CDF), al posto del richiamo ad articoli di un codice civile o penale, si fa riferimento a passi biblici, usati come se fossero articoli di legge. Questo uso della Sacra Scrittura, per emettere sentenze, ci sembra non solo riduttivo del suo valore di “parola di Dio”, ma persino offensivo se è vero che essa va letta per ascoltare quello che, attraverso le parole umane degli autori dei vari testi biblici, Dio vuole comunicare al cuore degli uomini. Continua lettura, dunque, e continuo ascolto. Che la dichiarazione sia un “testo legale”, lo chiarisce la dichiarazione stessa quando afferma che suo scopo è quello “di confutare determinate posizioni erronee o ambigue”, o che «I fedeli sono tenuti a professare che esiste una continuità storica — radicata nella successione apostolica — tra la Chiesa fondata da Cristo e la Chiesa Cattolica». Dopo i mea culpa sugli errori della chiesa, qualcuno di essi recitato fra l’altro proprio dal Cardinale Ratzinger, si ritorna a dividere i cristiani in buoni ed eretici, come ai tempi del medioevo più buio.

2. Nella dichiarazione si utilizza il termine “cattolico” non nel suo significato originario di “universale”, ma in quello più limitato e riduttivo d’individuazione della chiesa di Roma. Quest’uso confessionale, ossessivamente ripetuto in tutto il testo della dichiarazione, rende di parte, e quindi opinabile, la dichiarazione stessa, di fronte all’evidenza della divisione esistente fra i cristiani che esiste e da cui non si può prescindere.

3. La dichiarazione della Congregazione, presentata come in diretta continuità delle decisioni Conciliari, in realtà restaura i principi del concilio Vaticano I° e tende a ridurre il Concilio Vaticano II° ad una sorta di icona inoffensiva, con verità immutabili e definite una volta per tutte. Sappiamo tutti che non è così, vista la quantità di concili tenuti sia prima che dopo i vari scismi che hanno caratterizzato la vita dei cristiani da duemila anni a questa parte. Di ben altro spessore, ci sembra il contenuto del volume reso noto proprio in questi giorni dal Comitato per il Grande Giubileo del Duemila, frutto di un convegno internazionale tenutosi all’inizio dell’anno. Il senso complessivo di quel testo ci sembra essere quello di una chiesa che si interroga su come andare oltre quel momento di svolta “rivoluzionaria” voluto da Giovanni 23°. La dichiarazione (è un caso che sia stata pubblicata due settimane prima della presentazione di quel volume?) ci sembra diretta esclusivamente contro i lavori di quel convegno e di quanti nella chiesa vorrebbero la convocazione di un nuovo concilio che traghetti veramente la chiesa nel terzo millennio, al di la delle celebrazioni spettacolari di questo giubileo che passeranno. La dichiarazione di Ratzinger da una mano a quella chiesa che è rimasta ancora oggi su posizioni preconciliari, che è ancora molto forte e diffusa, soprattutto in Italia e nel meridione in particolare. Una chiesa, quella di Ratzinger di tipo monarchico dove i singoli credenti, ma gli stessi Vescovi, non hanno alcun peso.

4. Scopo della dichiarazione, secondo Ratzinger, sarebbe quello di opporsi a quello che lui definisce il “relativismo religioso”, che metterebbe sullo stesso piano tutte le religioni in ognuna delle quali vi sarebbero elementi di verità e di salvezza. Ma è proprio questo il pericolo principale che oggi sta di fronte alla “chiesa universale di Cristo”? Magari fosse così! Ben altri sono i pericoli per la fede che vediamo e non solo in Italia ma anche in Europa e nel mondo, contro cui non ci pare ci sia altrettanto zelo. Vediamo l’emergere di un pericolosissimo razzismo, addirittura contro i figli adottivi, peggio se di colore, colpevoli solo di aver trovato dei genitori che li amano. Razzismo propagandato addirittura da eminenti cardinali che vorrebbero impedire l’ingresso di immigrati di religione islamica nel nostro paese, come se fossimo ai tempi delle crociate per la riconquista del “Santo Sepolcro”. Vediamo un risorgente antisemitismo, con gruppi di neonazisti sempre più attivi; vediamo preti, che fra l’altro si fanno intervistare anche alla Tv, partecipare alle manifestazioni di questi gruppi dell’estrema destra, com’è successo recentemente a Roma in occasione del GayPride. Cosa abbiamo da dividere noi con il neonazismo o l’estrema destra? Vediamo, ancora, il prevalere nei comportamenti sociali dell’egoismo più bieco, della difesa del proprio orticello, molto spesso spacciato come difesa dei “valori cristiani della civiltà europea”; vediamo politici sedicenti cattolici spacciarsi per difensori dei valori della famiglia (pur essendo poi tutti regolarmente divorziati e risposati) a caccia di voti e di consensi della gerarchia ecclesiastica in funzione elettorale; vediamo il prevalere dell’irresponsabilità collettiva, del rifiuto di assumere i mali della società (droga, prostituzione, pedofilia, tanto per citarne qualcuno) come mali di cui tutti siamo responsabili e di cui tutti dobbiamo farci carico. Vediamo l’incitamento di certi giornali o di certa tv a farsi “giustizia da soli”, per preparare l’avvento di una dittatura che, come d’incanto, risolva tutti i mali d’Italia e del mondo. Vediamo l’irresponsabilità dei comportamenti umani verso la natura che Dio ci ha donato, lo sperpero delle spese militari, le decine di guerre in corso, il genocidio dei bambini… Altro che relativismo religioso!

5. Per i modi, i tempi e i toni della dichiarazione, questa non può che provocare divisione, risentimenti ed un’accusa di altezzosità che è del tutto motivata. E se è vero che viviamo in un mondo pieno di relativismo, qual è la strategia migliore per combatterlo? Certamente non quello di gridare al mondo intero la propria superiorità che deriverebbe dall’essere la chiesa di Roma direttamente discendente dalla Chiesa fondata da Cristo duemila anni fa. A chi può interessare il problema del marchio di autenticità, ammesso che esista, della chiesa di Roma? Questo potrebbe interessare, ma non è neppure così, a chi si dice cristiano. Ma la realtà in cui si trova oggi a vivere il cristianesimo è del tutto diversa. Il cristianesimo è oggi minoritario in Italia e nel mondo. E’ con quest’enorme massa di uomini e donne che orientano la propria vita di tutti i giorni con criteri che non rispondono ad alcuna etica o morale, di alcun tipo, che dobbiamo fare i conti. Grazie a Dio ci sono però anche centinaia di milioni di uomini e donne che oggi leggono direttamente la parola di Dio, grazie anche alle decisioni assunte dal Concilio Vaticano II° e da Papa Giovanni 23°, traendone stimoli per cambiare la propria vita, per entrare in dialogo con Dio e con i propri fratelli, anche al di la di quello che pensano o stabiliscono gli organi direttivi delle chiese, qualsiasi esse siano. E’ con questo popolo di Dio diffuso, frutto dell’agire dello Spirito Santo, che soffia dove vuole e nessuno lo può fermare, che noi tutti, qualsiasi sia il servizio che svolgiamo nella chiesa di Cristo, abbiamo il dovere di confrontarci e dialogare, di gioire insieme ad essi quando si suscitano nuovi movimenti religiosi nel nome di Nostro Signore. Non è forse meglio il dialogo allo scontro, affiancarsi ai fratelli in cerca di luce, come Gesù che anonimamente si affianca ai discepoli di Emmaus, per dividere con loro le scritture e poi il pane ed il vino? Non si può sperare di cambiare la realtà esorcizzandola.

6. La Dichiarazione è inutile e dannosa anche per un altro motivo. Per la quantità di citazioni bibliche o di documenti richiamati, essa si configura come un documento per specialisti. Si continua con la pratica di tenere fuori dal dibattito della chiesa la stragrande maggioranza dei battezzati, che non sono né teologi, né specialisti di documenti conciliari. Spesso non lo sono neppure i parroci, soprattutto quelli che più s’impegnano nel loro ministero di “pastori in cura d’anime”, nell’esercizio dell’amore cristiano insegnatoci da Gesù. La teologia viene praticata, oramai da secoli, come una sorta di scienza esatta, quasi si trattasse di dimostrare un teorema di matematica. I documenti della chiesa cattolica, ma questo è un difetto di tutte le chiese, sono scritti da professori per altri professori, da studiosi per altri studiosi. E chi ascolta il “popolo di Dio”? Chi da loro voce, chi li fa partecipare attivamente ad una teologia che sia non “discorso razionale su Dio”, da accettare supinamente, ma “discorso con Dio”, dialogo dell’uomo con il suo Signore?

7. «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti», disse Gesù ai suoi discepoli che, mentre lui si stava recando a Gerusalemme per subire il martirio, discutevano su chi fra loro fosse il più grande. E a Giovanni che gli raccontava di aver impedito ad uno che non era un suo discepolo di scacciare demoni nel suo nome Gesù rispose: «Non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi è per noi». All’invito di Gesù ad essere gli ultimi la dichiarazione di Ratzinger sostituisce la rivendicazione del primato della chiesa di Roma nell’ambito di quelle che non dovrebbero neppure essere chiamate chiese sorelle. Non è più dunque vero che “ogni uomo e tuo fratello”? E che senso ha rivendicare la cosiddetta “successione apostolica”? Non è più dunque Cristo l’unico e vero capo della sua Chiesa?

8. All’ecumenismo non c’è alternativa. Dove per ecumenismo intendiamo il riconoscimento reciproco di quanti si dicono cristiani e praticano i suoi insegnamenti, secondo l’indicazione di Cristo stesso: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome li sono io”. All’ecumenismo non c’è alternativa perché Cristo ci ha chiesto una cosa semplice, completamente alla nostra portata, quello di “amarci l’un l’altro come lui ci ha amato”. E all’amore fraterno, che è la vera base dell’ecumenismo, per i cristiani non c’è alternativa. E a chi ci offende siamo chiamati a perdonare “non sette volte ma settanta volte sette”. L’Irpinia, terra di dialogo e di cultura, rifiuta le chiusure e l’oscurantismo di chi pretende di spostare indietro le lancette della storia. Lo Spirito Santo, che non a caso sembra essere stato dimenticato dagli estensori del documento, è più forte di qualsiasi dichiarazione di parte e in lui confidiamo.


Dominus
Iesus, nella gabbia dell’inquisitore. La trave e la pagliuzza

Riflessioni
dell’Associazione
italiana Noi siamo chiesa

L’intenzione del
potente è
grottesca: vuol essere l’unico

(Elias
Canetti)

Nel leggere il documento stilato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF), Dominus Iesus (DI), a firma del card. Joseph Ratzinger (datato 6 agosto 2000 e pubblicato il 5 settembre), e nel constatare le reazioni di cristiani e di non cristiani, abbiamo spontaneamente pensato che il modello soggiacente al testo vaticano, ampollosamente autodefinitosi meritevole di “assenso definitivo e irrevocabile”, fosse quella dicotomia che costituisce l’essenza della “parabola del fariseo e del pubblicano”, che Luca (18, 9-14) scolpisce con pochi ma eloquenti tratti.

“Poi Gesù raccontò un’altra parabola per alcuni che si ritenevano giusti e disprezzavano gli altri. Disse: Una volta c’erano due uomini: uno era fariseo e l’altro era un agente delle tasse. Un giorno salirono al tempio per pregare Il fariseo se ne stava in piedi e pregava così tra se: O dio, ti ringrazio perché io non sono come gli altri uomini: ladri, imbroglioni, adulteri. Io sono diverso anche da quell’agente delle tasse. Io digiuno due volte alla settimana e offro al tempio la decima parte di quello che guadagno.
L ‘agente delle tasse invece si fermò indietro e non voleva neppure alzare lo guardo al cielo. Anzi si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me, sono un povero peccatore! Vi assicuro che l’agente delle tasse tornò a casa perdonato; l’altro invece no. Perché, chi si esalta sarà abbassato, chi invece si abbassa sarà innalzato”.

La scissione dicotomica del pio fariseo

Il fariseo della parabola non si accorge di ripetere quell’antica scissione che si nutre di opposti “assoluti”: giusto-malvagio; perfetto-imperfetto; ladro-onesto; adultero-fedele. Per lui non ci sono condizioni intermedie, verità in corso d’opera. La condizione umana è segnata o dalla virtù o dal vizio. I comportamenti possono essere irreprensibili (il suo) oppure censurabili (quello del pubblicano) in grado assoluto, senza mescolanze, o somiglianze.
In quanto militante e praticante di una religione non solo ‘vera”, ma “più vera” e superiore alla altre espressioni religiose, il “pio fariseo” ritiene di godere di una sorta di immunità dal peccato, dalle impurità del cuore. Egli è intimamente convinto che l’adesione al “credo”, al “rito” e alla “legge” lo innalzino automaticamente al di sopra degli altri, siano essi uomini o prassi religiose, fino ad assumere il ruolo di giudice che emette sentenze incontrovertibili e inappellabili.

La Chiesa perfetta ~ gli altri imperfetti

Lo schema dicotomizzante che il buon fariseo adotta nel rapportarsi con Dio e con i propri simili ci sembra sostenere tutto l’impianto delle precisazioni teologiche della Dominus Iesus, un condensato di affermazioni tese a mostrare e a dimostrare non l’utilità, ma la superiorità assoluta della Chiesa cattolico-romana (con tutto il suo apparato ecclesiastico) su qualsiasi religione o chiesa non cattolica.
Osserviamo in proposito alcuni passaggi del testo vaticano DI.

1. «La Chiesa, nel corso dei secoli, ha proclamato e testimoniato con fedeltà il Vangelo di Gesù» (cap.2).

Con questa affermazione, mai smentita o smussata nel corso del testo, la Chiesa si esibisce davanti a Dio come il perfetto e osservante fariseo: esente da macchie e peccati nel proclamare e testimoniare il Vangelo. Nel suo orizzonte questa Chiesa vede solo la “fedeltà”, in un grado che non lascia spazio a debolezze o deviazioni. Più che ad autoesaminarsi, appare intenta a pavoneggiarsi e ad autoesaltarsi, al punto da perdere ogni contatto con la realtà, immaginandosi già trasformata in corpo celestiale. La conseguenza di questo autoaccecamento è che la «”Chiesa” non ha necessità di chiedere perdono, perché è ed è stata sempre fedele «nel corso dei secoli». Che essa non sia tenuta a chiedere perdono a Dio per i suoi peccati è stato ampiamente argomentato nel documento «Memoria e Riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato» emesso il 7 marzo 2000 dalla stessa CDF, dove si asserisce che, in assenza di una tradizione e di un definitivo giudizio storico, il papa e la Chiesa cattolica non sono tenuti a confessare, oggi, le eventuali colpe del passato; che, se errori vi sono stati, debbono essere imputati ai “figli della Chiesa” più che ad essa come Istituzione ; e che anche di fronte a peccati storicamente accertati della Chiesa si debbono valutare “i costi” di tale confessione, poiché ciò potrebbe minacciare “La fede dei deboli”, “inibire lo slancio dell’evangelizzazione mediante l’esasperazione degli aspetti negativi’; e rafforzare “pregiudizi nei confronti del cristianesimo”. La Chiesa in quanto tale non è, dunque, una casta meretrix, semper reformanda, come ci avevano avvertito i Padri della Chiesa: se si è macchiata di colpe, conviene negarle o rimuoverle come fa il devoto fariseo della parabola.

2. Altre citazioni della DI sono illuminanti:

“La chiesa di Cristo, malgrado le divisioni dei cristiani continua ad esistere pienamente soltanto nella Chiesa cattolica “(16). “Esiste quindi un’unica Chiesa di Cristo, che sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui” (17). “Le Chiese che, pur non essendo in perfetta comunione con la Chiesa cattolica… sono vere Chiese particolari” (17). “Perciò, in connessione con l’unicità e l’universalità della mediazione salvifica di Gesù Cristo, deve essere fermamente creduta come verità di fede cattolica l’unicità della Chiesa da lui fondata ” (16). “Le parole, le opere e l’intero evento storico di Gesù, pur essendo limitati in quanto realtà umane, tuttavia, hanno come soggetto la Persona divina del Verbo incarnato… e perciò portano in sé la definitività e la completezza della rivelazione delle vie salvifiche di Dio” (6). ‘La tradizione della Chiesa, però, riserva la qualifica di testi ispirati ai libri canonici dell’Antico e del Nuovo Testamento… hanno Dio per autore e come tali sono stati consegnati a//a Chiesa”(8). “È contrario alla fede cattolica considerare la Chiesa come una via di salvezza accanto a quelle costituite dalle altre religioni” (21).

La presentazione della Chiesa secondo la CDF vaticana non conosce toni di umiltà, pudore e autocritica: come il fariseo, afferma di “non essere come gli altri”. È diversa dalle altre Chiese perché è unica. Ed è unica perché in essa c’è la pienezza di Dio-Cristo, la completezza della Rivelazione, la totalità della salvezza, la verità dei “libri che hanno Dio per autore”.
Se nelle altre confessioni c’è qualcosa di buono, lo si deve perché, pur senza essersi sottomesse al “primato”assoluto del papa, hanno mantenuto una certa comunione sotterranea con la Chiesa cattolica, la quale non pare avere il dovere di essere in comunione con le altre Chiese non cattoliche.
Pur ammettendo la divisione tra cristiani, la Chiesa cattolica romana non si sente chiamata in causa, come se tale “peccato” dipendesse esclusivamente dalle altre Chiese. Ritorna il modello del fariseo della parabola, il quale non può condividere, nel bene e nel male, la condizione umana con i propri simili.

3. Dice ancora la DI:

“Deve essere, quindi fermamente ritenuta La distinzione tra la fede teologa/e e la credenza nelle a/tre religioni… Non sempre tale distinzione viene tenuta presente nella riflessione attuale, per cui spesso si identifica la fede teologale, che è accoglienza della Verità rivelata di Dio Uno e Trino, e la credenza nelle altre religioni che è esperienza religiosa ancora alla ricerca della verità assoluta” (7). “Di fatto alcune preghiere e alcuni riti de/le altre religioni possono assumere un ruolo di preparazione evangelica.. Ad essi non può essere attribuita l’origine divina e l’efficacia salvifica ex opere operato che è propria dei sacramenti cristiani” (21). “D’altronde non si può ignorare che altri riti, in quanto dipendenti da superstizioni o da altri errori, costituiscono piuttosto un ostacolo per la salvezza” (21). “Se e’ vero che i seguaci delle altre religioni possono ricevere la grazia divina, e pur certo che oggettivamente si trovano in una situazione gravemente deficitaria se paragonata a quella di coloro che, nella Chiesa, hanno la pienezza dei mezzi salvifici (22). Dio non manca di rendersi presente… anche ai popoli mediante le loro ricchezze spirituali, di cui le religioni sono precipua ed essenziale espressione, pur contenendo “lacune, insufficienze ed errori” (8).

Il documento vaticano sarebbe stato meno inaccettabile se, pur presentando la Chiesa come perfetta, si fosse astenuto da fare odiose classificazioni tra i figli di Dio e dall’emettete giudizi sulle altre religioni. Sventuratamente la CDF non si é attenuta al Vangelo che dice di testimoniare con fedeltà, e si è avventurata nel micidiale terreno delle comparazioni e del giudizio, tassativamente proibito da Gesù Cristo, specie quando esso non sia preceduto dall’asportazione della “trave che si ha nel proprio occhio”. Cade così nell’errore del pio e osservante fariseo il quale, avendo dimenticato che uno dei due comandamenti primari di Dio è “ama il prossimo tuo come te stesso”, non si accorge di violarlo nel momento in cui stabilisce, per di più aprioristicamente, che lui è totalmente buono, mentre gli altri, anche se oranti, appartengono ad una categoria moralmente inferiore.
Secondo gli estensori del documento curiale, al di fuori dell’isola incantata della Chiesa cattolica, dove tutto è perfetto ed esente da peccati, contraddizioni e oscurità, tutto il resto è imperfetto e carente. Dio dona a un miliardo di cattolici la “pienezza dei mezzi per la salvezza”, mentre ai 4/5 dell’umanità concede benevolmente sprazzi di grazia attraverso religioni che “contengono lacune, insufficienze ed errori”.
Anche le fedi hanno uno statuto diseguale: quella cattolica é “teologale”, perché fondata su “verità complete ed assolute”, mentre quelle delle altre religioni (4/5 del genere umano!) appartengono all’ordine delle ”credenze’, cioè esperienze religiose “non ancora alla ricerca della verità assoluta”.
I riti e le preghiere non sono ritenuti “diversi”, ma ontologicamente “diseguali”. Quelli “cattolici”, invece, hanno un particolare marchio di fabbricazione doc e sono garanzia di salvezza, in quanto possiedono “un’origine divina e l’efficacia salvifica ex opere operato che è propria dei sacramenti cristiani”, mentre i 4/5 del genere umano che pregano con formule rituali non cattolico-sacramentali non solo si trovano in un “ruolo di preparazione evangelica”, inferiore a quello di chi è già evangelizzato, ma corrono il rischio di essere inquinati da “superstizioni o da altri errori” che “costituiscono piuttosto un ostacolo per la salvezza”.

La visione integralista, fondamentalista, dicotomizzante e manicheizzante del fariseo della parabola si riproduce nella versione dell’organismo vaticano: da una parte ci sono i cattolici sottomessi al papa, con un piede in zona “salvezza”; mentre dall’altra parte ci sono i seguaci di altre religioni con un piede nella zona “perdizione”, dato che “oggettivamente si trovano in una situazione gravemente deficitaria se paragonata a quella di coloro che, nella Chiesa, hanno la pienezza dei mezzi salvifici”. Tra le due parti non ci sono somiglianze, né possibilità di incontri, dialoghi o interfecondazioni, poiché “è contrario alla fede cattolica considerare la Chiesa come una via di salvezza accanto a quelle costituite dalle altre religioni”.

L’evangelizzazione “dicotomica”

Immaginiamo quale dovrebbe essere, secondo l’ottica del documento vaticano, la presentazione del messaggio evangelico di un “cattolico” a un “non cattolico”:

“Caro/a amico/a, la mia fede mi insegna che la tua religione, senza saperlo, contiene un raggio del nostro Cristo, ma tu ti trovi in una situazione oggettivamente deficitaria, praticando riti viziati da superstizioni che sono un ostacolo per la salvezza.
Vedo che tu sei alla ricerca della Verità assoluta, ma questa si trova solo nella mia religione, quella cattolica, perché essa ha ricevuto la Rivelazione piena, definitiva di Dio in Gesù. Lui ha fondato una sola Chiesa vera, quella cattolica e apostolica: ci sono altre Chiese cristiane separate dalla nostra, ma non sono nostre sorelle, perché l’unica madre è quella cattolica. In più noi abbiamo dei riti veri che ti fanno automaticamente figlio di Dio.
Se vuoi essere salvo entra nell’unica Chiesa di Cristo, governata dal papa e dai vescovi in comunione con lui”

Immaginiamo anche l’ironica replica del “non cattolico”:
“E questa sarebbe la Buona Notizia?” Potrebbe anche aggiungere che l’unicità della salvezza esclusivamente tramite Gesù Cristo è stata utilizzata per imporre la superiorità dell’Occidente sui popoli pagani; della Chiesa romana su altre Chiese; dei bianchi sui non-bianchi; dell’uomo sulla donna; del clero sui laici, dei celibi sugli sposati; del papa su tutti.
Per la verità il nostro solerte missionario cattolico, impegnato nella diffusione del Vangelo, dovrebbe aggiungere un’avvertenza che il documento della CDF pone alla fine:
“Tuttavia occorre ricordare a tutti i figli della Chiesa che la loro particolare condizione non va ascritta ai loro meriti, ma ad una speciale grazia di Cristo; se non vi corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, non solo non si salveranno, ma anzi saranno più severamente giudicati”(22)
Il problema è che anche il pio fariseo della parabola è certo di corrispondere alla volontà di Dio con la preghiera, il digiuno e le opere di carità: non immagina, però, che Dio Padre voglia pensieri ed opere che creino la fraternità umana (il Regno di Dio), e che si pongano come superamento di quelle divisioni religiose, razziali, sociali o sessuali, che lui stesso va fomentando.

La malattia dell’assoluto

Pur non giungendo alle estreme conseguenze del fariseo che eguaglia il pubblicano ad imbroglioni-ladri-adulteri, il documento vaticano genera la sensazione nei non-cattolici che essi siano “menomati”, cioè “meno amati” da Dio a conseguenza di una divisione binaria, per cui i cattolici possiedono l’assoluto, mentre gli altri il relativo. Se la Chiesa cattolica come via di salvezza non può stare accanto a quelle costituite dalle altre religioni ciò è dovuto all’equazione identificatoria tra ciò che è storico, con ciò che è eterno, tra il visibile e l’invisibile, tra il creato e l’increato. Una volta realizzata tale identificazione essa trasmigra ad altre più terrene, con risultati aberranti e ridicoli.
In altre parole il documento vaticano sembra soccombere alla tentazione delle identificazioni con l’assoluto e con il suo derivato naturale, l’onnipotenza: tentazioni già sperimentate da Gesù e alle quali egli ha saputo sottrarsi con forza straordinaria.

Il papato assolutistico

Una Chiesa dominata dall’ossessione dell’assoluto non può reggersi che sul governo “assoluto”: il testo della CDF lo sfuma parlando del “Primato che il Vescovo di Roma oggettivamente ha ed esercita su tutta la Chiesa” (17). Probabilmente la frequenza dei concetti dominati da aggettivi come unico, totale, completo, assoluto, hanno imposto ai redattori un certo pudore, per cui hanno omesso di dire che nella Chiesa cattolica c’è un altro “assoluto”: è quello del “primato” del papa-vescovo di Roma sulla Chiesa, assoluto in quanto legibus solutus (non obbligato da leggi).
Fin dal 1302 nella bolla Unam sanctam Papa Bonifacio VIII aveva dichiarato “che per ogni creatura umana è assolutamente necessario per la salvezza essere sottomessi al Vescovo di Roma”.
Nel decreto Christus Dominus del Concilio Vaticano II si omette tale dizione ritenuta probabilmente troppo ridicola, ma si afferma che il Sommo pontefice “è per divina istituzione rivestito di una potestà suprema, piena, immediata, universale… e detiene la suprema potestà ordinaria su tutte le Chiese” (n.2). Nella “Nota Esplicativa previa” del cap. III della Costituzione dogmatica sulla Chiesa (Lumen Gentium) si legge che il papa può agire “secundum propriam discretionem” cioè “secondo il suo personale parere”: cosicché egli può nominare vescovi, fissare dottrine e liturgie, emanare norme che vincolano tutti salvo che lui, stabilire linee politiche con i nunzi e i Concordati con gli Stati, emettere sentenze inappellabili senza rendere conto a nessuno.

In conclusione: il papa può autonomamente decidere su tutto: un miliardo di cattolici, insieme, non possono decidere nulla.
E’ evidente come la mancata vigilanza sul processo di idealizzazione-assolutizzazione abbia finito per aprire un varco ad altre idealizzazioni nella teologia e nella pastorale cattoliche, dalla “Mario-latria” fino alla “papo-latria”, con il risultato paradossale di un papa che, per la prima volta nella storia della Chiesa, si sente obbligato a promettere di rivisitare l’esercizio assolutistico, del suo “primato” (enciclica Ut Unum Sint, 1995), dato che esso è l’ostacolo primario alla riconciliazione tra le chiese. Promessa, comunque, finora non solo del tutto elusa, ma contraddetta da molteplici atti di esercizio “assolutistico”.

La religione «vera»: l’amore

La conseguenza tragica di ogni processo sistematico di assolutizzazione-divinizzazione-idealizzazione è la rimozione della realtà concreta, teso com’è a ri-crearne una completamente “virtuale”, comunque dis-umana.
Nel caso del papa la de-umanizzazione consiste nel dilatarne il ruolo fino a renderlo da semplice e umano “successore” di Pietro a Vicario “unico” di Cristo (quindi depositario di un potere assoluto).
La stessa persona umana e storica di Gesù è profondamente oscurata apparire solo Dio, non il figlio di Maria e Giuseppe, il falegname di Nazareth; colui che non ha né casa né luogo per essere interrato; colui che, con un gruppo di amici itineranti, annuncia ai poveri la scandalosa Buona Novella che il Padre li predilige e che il Regno di Dio e’ già presente tra gli uomini perché i ciechi vedono, i sordi odono e i paralitici camminano; colui che è calunniato davanti ai tribunali, torturato dall’esercito, vittima del fanatismo sacerdotale e dell’opportunismo politico, un “bestemmiatore” condannato alla crocifissione dal potere imperiale.

Non una parola viene spesa nel lungo documento della CDF per dire che Gesù s’impegna, anche a costo di morire, nella costruzione di un nuovo modello sociale, familiare e religioso dove non ci siano più differenze di sesso, razza o religione; né gerarchie (“né padri, né capi, né maestri”) ma solo fratelli e sorelle; disposti a vivere da servi, alla mercé dell’ospitalità, a lasciare anche il mantello a chi cerca d’impossessarsi della camicia, a porgere l’a/tra guancia a chi da uno schiaffo. Anche per Paolo l’ekklesia di Dio non è una nuova religione, ma una nuova società, qui e ora sulla terra.
Per Gesù, beati non sono quelli che si limitano a offrire sacrifici, o a seguire le norme religiose, ma quelli che rinunciano a tutte le forme di violenza, di cui il giudizio è la forma più frequente: “chi dice a suo fratello: ‘sei un cretino’, sarà portato di fronte a/tribunale superiore” (Mt 5,22). Altrettanto categorico è Paolo: “E tu perché giudichi tuo fratello? E tu, perché disprezzi il tuo fratello? Smettiamo allora di giudicarci a vicenda” (Rm 14, 10-13).
Per Giacomo fare differenze è già giudicare con parametri perversi: “Voi vi mostrate pieni di premure per quello che è vestito bene e dite: “Siediti qui. Al posto d’onore”. Al povero, invece, dite: “Tu rimani in piedi”. Se vi comportate così, non é forse chiaro che fate delle differenze tra l’uno e l’altro e che ormai giudicate con criteri malvagi?” (Gc 2,3-4).
Gesù è colui che agisce nella storia umana sovvertendo le categorie fondanti della società e delle religioni; mettendo al centro chi è escluso (bambini, poveri, vedove, malati, peccatori pentiti); e spostando alla periferia chi si ritiene di stare nel giusto e nel cuore di Dio (teologi del tempio, farisei, sani, ricchi, sapienti). Questo ribaltamento della scala valoriale viene qualificata come una “bestemmia” dalla religione ufficiale, perché distrugge tutte le identità confessionali, che vengono azzerate dall’unica vera religione a-confessionale che è la «pratica della giustizia e dell’amore”. Il cuore dell’ortodossia è l’ortoprassi: dottrine, riti, sacrifici, digiuni sono inutili se non si risponde concretamente alle sofferenze del prossimo. Infatti, ci ammonisce ancora l’apostolo Giacomo: “Anche i demoni hanno la fede, ma essi non operano però il bene e non fanno la volontà di Dio” (Gc 2, 19-20).
“Religione pura e genuina davanti a Dio nostro Padre è questa: prendersi cura degli orfani e delle vedove che sono nella sofferenza e guardarsi dalle sozzure del mondo” (Gc 1,27)

Dio non esige l’amore assoluto, ma l’amore relativo, possibile, a portata di tutti, di atei e pagani, di buddisti e musulmani.
Scriveva nel 1963 un teologo cattolico: “L’amore è completamente sufficiente e non occorre altro. Ciò risulta chiaro dalla conversazione tra Gesù e il dottore della legge (Mt 25,31-46) in cui il giudice non chiede a ciascuno cosa creda, pensa o comprende, ma lo giudica semplicemente e unicamente secondo la misura del suo amore. I/ “sacramento del fratello” appare come l’unico requisito di salvezza: il proprio consimile diviene quell’ “incognito di Dio” (Congar) nel quale si decide il fato di ciascuno. L ‘uomo non si salva perché conosce il nome del Signore (Mt 7,21); ciò che gli si chiede è che vada incontro, in modo umano, al Dio nascosto nell’uomo. L’antica credenza che un Dio può calarsi nelle fattezze dell’ospite è confermata inaspettatamente da Gesù nato in Betlemme, lontano dalle case degli uomini” (Documentazione olandese del Concilio 1963).
Quel teologo era il prof. Joseph Ratzinger e con la sua interpretazione concordiamo completamente.
In teoria, perché siamo dolorosamente ben lontani dal praticarla quotidianamente.
In quanto cattolici, partecipiamo anche noi delle contraddizioni e dei peccati della nostra Chiesa.
Per questo diciamo: Signore, abbi pietà di noi”, memori di un avvertimento di Abraham Lincoln:
«Non affrettiamoci ad affermare che Dio è dalla nostra parte,
ma preghiamo sinceramente di essere dalla parte Sua»

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Questo sito nacque alla fine del 1999 con l'obiettivo di offrire un contributo alla riflessione sulla crisi della democrazia rappresentativa e sul ruolo dei mass media nei processi di emancipazione culturale, economica e sociale. Per alcuni anni Nonluoghi è stato anche una piccola casa editrice sulla cui attività, conclusasi nel 2006, si trovano informazioni e materiali in queste pagine Web.

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