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Gli eredi della P2

[Tratto dalla Catena di San Libero, e-zine di Riccardo Orioles]

Gli eredi della P2. Periodicamente, gli uomini di Gladio e della P2 tornano a galla con gli attacchi postumi al generale Carlo Alberto dalla Chiesa, cui evidentemente non riescono ancora a perdonare la guerra alla mafia e ai politici mafiosi. Spicca fra loro per pervicacia l’ex presidente (costretto a suo tempo a dimettersi per non commendevoli motivi) Francesco Cossiga. Costui, nel 1990, rese un servigio alla mafia isolando ufficialmente uno dei magistrati maggiormente impegnati, Rosario Livatino: che fu assassinato dai killer pochissimo tempo dopo. L’ostilità di Cossiga contro il generale non nasce tuttavia, a nostro parere, negli anni siciliani ma è presistente a essi. Sorge probabilmente a metà degli anni Settanta, quando dalla Chiesa, nell’ambito dei carabinieri di Milano, sostenne un vero e proprio scontro con una cordata di militari infedeli, trovati piu’ tardi nelle liste di Gelli ma già allora probabilmente organici a qualcuno dei centri di potere deviato di cui Cossiga più d’una volta ha proclamato la legittimità “politica”.

Riproponiamo dunque un articolo di ventun anni fa, uscito sui Siciliani. Ci duole di dover ricorrere a materiale tanto antico, ma sembra che sulla stampa di oggi l’argomento P2 sia ormai considerato archeologico – nonostante la sua attinenza col governo attuale – e che coloro che si opposero ai poteri mafiosi e occulti possano essere liberamente insultati dal primo faccendiere. In piu’, da siciliani, dobbiamo onorare un debito verso un soldato della Sicilia. (r.o.)

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I nemici di Dalla Chiesa (I Siciliani, marzo ’85) “Mi presento spontaneamente per rendere dichiarazioni che ritengo possano avere rilievo nelle indagini…”. è il 25 aprile 1981, all’ufficio istruzione del Tribunale di Milano. Sono presenti i giudici Turone, Colombo e Viola e un testimone, l’ufficiale dei carabinieri Nicolò Bozzo. “Sono tenente colonnello in s.p.e. dell’Arma dei carabinieri e presto servizio quale capo sezione criminalità presso lo Stato Maggiore della Divisione-CC “Pastrengo” di Milano. Ho appreso dalla stampa che l’ufficio si occupa, nell’ambito dell’inchiesta relativa alla scomparsa di Michele Sindona, anche della persona di Licio Gelli e della loggia P2″. L’ufficiale racconta quello che ha appreso, in anni di permanenza nei punti nevralgici dell’Arma, sui gruppi di potere dentro e fuori le gerarchie militari. “Nel 1972 prestavo servizio presso il comando di divisione di Milano, all’epoca comandata dal gen. Giovambattista Palumbo. Sin dai primi giorni avvertii la presenza di un vero e proprio gruppo di potere al di fuori della gerarchia. Questo gruppo di potere era personalizzato da due maggiori, Calabrese e Guerrera. Di questo gruppo di potere, che aveva una matrice comune nella provenienza per servizio dalla Toscana, faceva parte anche il Comandante della Divisione”.

Nel 1975, sostituito il generale Palumbo con il gen. Palombi, il peso del “gruppo di potere” diminuisce momentaneamente; nel ’77, però, ministro della difesa l’on. Lattanzio, “si scatenò una vera persecuzione nei confronti degli ufficiali che collaboravano piu’ strettamente con Palombi, uno dei quali fu addirittura trasferito su due piedi in Sardegna”; lo stesso Palombi si salva a stento dall’epurazione, e il “gruppo di potere” riprende piede. Negli anni successivi, secondo la ricostruzione di Bozzo, altri uomini si aggregano al gruppo – le cui “comuni origini toscane” consistono, in effetti, nei contatti avuti in tempi diversi con Gelli – e ne rafforzano il potere sul Comando milanese dell’Arma: il tenente colonnello Panella, il nuovo comandante della Legione Mazzei ed altri. Intanto, la società italiana attraversa i suoi anni di piombo. C’è un episodio minore, ma significativo dei guasti provocati già allora dall’infiltrazione degli uomini di Gelli nell’Arma: un ufficiale investigativo, il capitano Bonaventura, viene convocato da Mazzei e interrogato “sull’opportunità di mantenere rapporti di amicizia” con un tale professor Del Giudice, sospetto di terrorismo. Bonaventura risponde che i sospetti sono fondati: Del Giudice, ritenuto capo di Prima Linea, è indiziato di concorso in rapina. Mazzei, poco persuaso, congeda il capitano.

Dopo l’omicidio Alessandrini, la Procura di Milano mette sotto controllo il telefono di Del Giudice e di altri: il 26 giugno 1979 viene registrata una telefonata di Mazzei, nella quale l’ufficiale rivela particolari di un’operazione in corso da parte dell’Arma contro un’organizzazione eversiva clandestina. Per iniziativa del generale Dalla Chiesa, Mazzei viene sottoposto a una inchiesta disciplinare; prima che essa si concluda, Mazzei si dimette dall’Arma e viene immediatamente – “per imposizione di alti esponenti della massoneria toscana” – assunto, come dirigente dei servizi di vigilanza, dal Banco Ambrosiano di Calvi. Questo era il clima. A fine ’79, Dalla Chiesa viene nominato comandante della Divisione Pastrengo di Milano. Bozzo immediatamente si rivolge al nuovo superiore; gli espone la situazione; gli fa presente che ritiene necessario, a questo punto, rivolgersi direttamente alla magistratura; Dalla Chiesa lo autorizza, e gli dice comunque di “approfondire gli accertamenti”, cosa che Bozzo, con la collaborazione di un altro ufficiale fedele, il capitano Riccio, si affretta a fare. Ma il “gruppo di potere” all’interno dell’Arma è ancora molto forte. “In occasione dell’arresto di Del Giudice, il colonnello Vitale mi disse che la massoneria tentava ancora una volta di fare quadrato, sottolineando la sua potenza, tenuto conto che di essi facevano sicuramente parte personaggi come Picchiotti, Palumbo, Siracusano ed altri…”.

La presenza di gruppi massonici, nell’esercito italiano, non è una novità; ma: “Intendo precisare – specifica Bozzo – che quando si parla di massoneria fra ufficiali dell’Arma si fa riferimento ad una massoneria occulta”.

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Il 14 maggio 1981, il tenente colonnello Bozzo viene nuovamente interrogato da Colombo e Turone. E fa degli altri nomi. “Di quel “gruppo” facevano parte, oltre ai già citati maggiori Guerrera e Calabrese, anche il colonnello Bozzi Nicola, ora in congedo e dirigente, in Milano, di un’organizzazione privata di vigilanza bancaria, i capitani Napolitano e Spinelli, il colonnello Favali ora in congedo e dirigente il servizio di sicurezza della Banca d’America e d’Italia (dall’Arma alle Banche, con determinate protezioni, il passo è breve, n.d.r.), il tenente colonnello Santoro, e il colonnello Musumeci Pietro…”. Musumeci, in particolare, pur dipendendo da un comando romano passava la maggior parte del suo tempo a Milano, nell’ufficio del generale Palumbo col quale, gerarchicamente, non avrebbe avuto nulla a che fare.

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Del catanese Musumeci, poi diventato generale e dirigente del Sismi, abbiamo avuto altre volte occasione di ricordare la strana carriera, conclusasi con l’installazione, per conto della P2 e insieme a personaggi come Pazienza, di una rete eversiva ai vertici dei servizi segreti italiani. Ma per il momento, piu’ che diffondersi sulla sua persona in particolare, giova riassumere i tratti generali della situazione che possono aver qualche relazione con le nostre storie “siciliane”.
1) Un gruppo di potere massonico, o meglio gelliano, o meglio piduista, è costituito presso un ganglio fondamentale dell’Arma fin dal 1972;
2) Al centro di questo gruppo compaiono alti ufficiali siciliani, o successivamente operanti in Sicilia, come Musumeci e Siracusano;
3) Questo gruppo viene in aperto contrasto, già a Milano e almeno dal giugno 1979, col generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, il quale tenta per quanto può di opporsi ad esso;
4) Tale contrasto è peraltro parallelo con quello che opponeva Dalla Chiesa al generale Cappuzzo, esponente fra l’altro – in Sicilia – dei “Cavalieri del S. Sepolcro” del costruttore palermitano Cassina, fra i quali si annovera anche il colonnello catanese Licata;
5) Non vi è motivo di ritenere che l’uno o l’altro contrasto siano cessati con la destinazione di Dalla Chiesa in Sicilia;
6) Bozzo non conta balle: la presenza della P2 nei vertici della polizia e dei carabinieri era davvero decisiva, e lo era particolarmente negli anni “di piombo” su cui egli testimonia. Per esempio, la Relazione Anselmi rende ufficialmente noto che ai tempi dell’affaire Moro (durante il quale, com’è noto, un’attiva opera di depistaggio è stata svolta da Musumeci), le indagini delle forze dell’ordine venivano dirette da un Comitato di coordinamento composto in massima parte di piduisti. “Risultano infatti presenti i seguenti affiliati alla loggia P2: i generali Giudice, Torrisi, Santovito, Grassini, Lo Prete, nonchè, ad una di esse, il colonnello Siracusano”.
Dalla Chiesa e il gruppo di potere piduista erano nemici. Dalla Chiesa e la mafia erano nemici. La mafia e la P2 avevano un nemico in comune.

Riccardo Orioles

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