Nonluoghi Archivio Catania, la destra respira grazie a Bianco

Catania, la destra respira grazie a Bianco


di Riccardo Orioles *

Catania. La destra respira, e ringrazia Bianco. Ossigeno per
Berlusconi,battuta d’arresto per la marcia – fin qua inarrestabile –
del centrosinistra. Come in Lombardia, presentare il “moderato” non ha
pagato: il centrosinistra, rinunciando alle capacità di mobilitazione
e speranza che avrebbe potuto coagulare un candidato veramente
alternativo, ha preferito ripresentare il vecchio rassicurante
notabile, ed ha pagato. Vendola vince, Bianco perde: mettiamola
così, e poi andiamo avanti.
È una sinistra, quella catanese, che in realtà ha delegato
tutto
all’ex sindaco-tecnocrate, Bianco, che del centrosinistra rappresenta
l’ala estrema in politica sia estera (filo-americano e pro-guerra,
nella città che ospita una delle più pericolose basi Usa) che interna
(ottanta manifestanti all’ospedale a Napoli, anticipando di di alcuni
mesi la Genova del G8). Il paradosso è dunque di una sinistra
pacifista e democratica che candida allegramente, Rifondazione in
testa, uno degli esponenti più bellicosi e repressivi
dell’establishment italiano. Ma a Catania succede questo e altro. Non a
caso, gli articoli preelettorali dei vari inviati erano *tutti* giocati
sul “colore”: granite, sole, mare, Etna, donne, Brancati, battute
profonde e ciniche (di solito alla fine) in siciliano.

* * *
Ovviamente, Catania non sta in Italia – o vi sta fin troppo – perciò
tutto questo colore, questo paternalismo “continentale”, in fondo è
giustificato. I gattopardi, qua, non sono feroci gentiluomi palermitani
ma placidi compradores pronti a qualsiasi ribaltone. Non ci sono classi
sociali contrapposte o anche semplicemente individuate, non c’è una
borghesia (e che mai si produce?), non c’è una classe intellettuale
indipendente. Per intellettuale, qui, s’intende un uomo alfabetizzato,
che a una certa età ottiene una cattedra all’università o una
consulenza al comune o tutt’e due, che settimanalmente esprime profondi
concetti sul giornale di Ciancio, e che ha successo se riesce
abbastanza spesso a produrre delle battute ciniche e possibilmente
eleganti sul “non c’è niente da fare”. Certo, ci sono state eccezioni
– notevoli -, ma individuali: Giuseppe Fava, Scidà, D’Urso, Mignemi,
Recupero, Compagnino, Cazzola, Catanzaro, Resca, e pochissimi altri.
Ciò che accomuna queste eccezioni è da un lato il livello
professionale e civile, rare volte riscontrabile altrove; dall’altro la
sostanziale non-catanesità e dunque l’isolamento, lo scherno, la più
o meno violenta emarginazione. Dalla politica ufficiale, comunque,
vengono accuratamente enucleati. Fanno politica, quando la fanno, coi
movimenti dei giovani – di cui questa strana città, così misera nei
palazzi, non è affatto avara.

* * *

Vi sono state almeno due grandi stagioni di movimento a Catania, almeno
due generazioni civili. Una, quella dell’84, col movimento dei
Siciliani. L’altra, già meno gobettiana ma più diffusa, quella del
93, col ritorno dei Siciliani e con la prima Rete. Entrambe hanno
formato uomini, hanno creato possibili classi dirigenti; hanno
conseguito risultati che nessuno era mai riuscito a ottenere in
Sicilia – la cacciata dei Cavalieri, l’individuazione di una
quasi-maggioranza alternativa – e… e, venti e dieci anni dopo sono
completamente emarginate, costrette a scegliere individualmente fra
resa al consociativismo ed emigrazione. Il regime lì è da tempo
bipartizan, non vi è una differenza notevole fra grandi affari di
destra e grandi affari di centrosinistra.
Vi è ancora un’opposizione, certo, ma frammentata in decine di piccole
e piccolissime associazioni che danno l’idea di una non-accettazione
morale più che di un’alternativa cosciente e organizzata. A ogni
minimo spiraglio essa è tuttavia ancora capace di dar prova di sè, di
testimoniarsi. L’ultima volta è stata alle elezioni europee, quando
l’onorevole diessino Fava (che viene dai Siciliani e ha una tradizione
di impegno antimafioso) osò aprire una dura polemica “giacobina”
contro i frequentatori di mafiosi nel suo stesso partito.
Venne eletto a valanga, nonostante (ma in realtà per) il conclamato
“estremismo”, sconfiggendo il candidato ulivista ufficiale, un barone
universitario appena confluito da Forza Italia. Subito dopo l’elezione,
tuttavia, si riappacificò coi moderati, sostenne Bianco, sostenne lo
stesso barone appena sconfitto (che ora è il responsabile regionale
dell’Ulivo) e insomma si considerò rappresentante degli apparati che
gli avevano organizzato l’elezione e non dei cittadini che l’avevano
votato.
La situazione di adesso, in bene e in male, viene anche da storie
così. Ed è il punto di arrivo di una lunga marcia attraverso le
istituzioni o il Palazzo (a secondo dei punti di vista) che ha
comportato il sacrificio dell’esperienza politica dei Siciliani, la
riscrittura della stessa storia di questi ultimi in senso accettabile
dai moderati e la subordinazione ai politici d’apparato della pur
vivace società civile isolana. La strada esattamente opposta, insomma
a quella portata avanti – per esempio – da un Vendola. Che vince ed
esalta i movimenti nel “suo” centrosinistra, a Catania regalato invece
alla sinistra d’impresa.
Sarà sempre così? Il Ds sopravviverà o verrà assorbito? Cossuttiani
e verdi prenderanno mai in considerazione i movimenti? Rifondazione
tornerà prima o poi ad essere di sinistra? A Catania, tutte queste
domande rischiano ormai di essere, più che drammatiche, inifluenti. La
sinistra ufficiale ormai le sue carte se l’è giocate, e non sarà lei
a incassarne la posta, comunque vada. Sinistra di movimento? Forse: ma
ce ne vorrà, di strada. Per adesso, l’unica cosa che si può dire di
buono è che Catania è una cosa e l’Italia, per fortuna, è un’altra.

* * *

A vincere davvero, probabilmente, è stato il bipartizan Mario Ciancio,
ormai non solo il monopolista (anticipando, nel suo piccolo,
Berlusconi) di tutta l’informazione siciliana ma uno dei massimi
imprenditori siciliani. Ha attraversato tranquillamente la Dc, il
dopo-Dc, la mafia, i Cavalieri, il “riformismo” di Bianco, la destra di
Scapagnini e quella di Berlusconi, facendo ottimi affari con tutti e
facendosi riconoscere da tutti quanti il suo monopolio totale su tv e
giornali. Infine è passato alla fase tre, mostrandosi direttamente
come potere puro. In questo momento sta costruendo direttamente o per
interposti prestanomi il più grande centro commerciale della Sicilia,
con una serie di provvide varianti di piano regolatore che hanno
guderianamente spazzato via ogni pastoia legale a questa terrificante
espansione. “Garantisce lui per tutte le autorizzazioni, e fino
all’inizio dei lavori non vuole una lira”. Questa intercettazione
(operata nel 2001 dalla Direzione Antimafia, nel quadro di
un’operazione su alcuni “imprenditori” del messinese: Giostra,
Siracusano, Pagano ecc) potrebbe essere il riepilogo di tutto. E anche
l’epitaffio, per la povera e non innocente città.

* Tratto dalla e-zine La Catena di San Libero, 18 maggio 2005 n. 284
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