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Val di Susa, quando anche la polizia sarà nonviolenta

di Enrico Peyretti *

Anche la polizia, come il popolo, diventera’ nonviolenta. Proprio nel giorno della violenza poliziesca in Val di Susa, oso dire: anche la polizia, come il popolo, diventerà nonviolenta. Chi è il popolo? Il popolo è formato da tutti quelli che, non avendo potere sugli altri, e soffrendo la prepotenza dei potenti, imparano, seppure attraverso fatica ed errori, il potere su di sé.
Il potere su di sé è il fondamento della forza nonviolenta: la forza di lottare per fini giusti con mezzi giusti, escludendo ogni offesa o minaccia fisica e psicologica a danno degli avversari, cercando la comunicazione con loro per trovare un fine sovraordinato nel quale superare l’incompatibilita’ distruttiva. Cosi’ ha lottato finora, da molti anni, e specialmente nelle ultime settimane, il popolo intero della Val di Susa (provincia di Torino), insieme ai suoi amministratori comunali al completo, contro il tav, un progetto di ferrovia ad alta velocità che risulta insensato e sbagliato sotto molti profili: economico, funzionale, ambientale, previsionale, ma presentato dai governanti centrali e regionali come utile e benefico (benefico sicuramente, in modi legali e illegali, per chi specula sulle “grandi opere” spettacolari).

Le ragioni della protesta, ben note a chi le ha volute ascoltare, si leggono, per esempio, nel sito www.notavtorino.org. Nella valle di Susa c’e’ una consolidata tradizione di cultura e educazione alla nonviolenza. Negli anni del terrorismo italiano, alcune persone e piccoli gruppi scesero a confidare in quel metodo, ma trovarono l’isolamento e non l’appoggio popolare. Nelle lotte nonviolente e’ sempre possibile che qualche frangia passi ad azioni violente. Accadeva anche nelle grandi azioni nonviolente promosse da Gandhi. Nel caso della Val di Susa, due ridicole minacce clandestine di violenza hanno cercato inutilmente di inquinare e diffamare l’azione generale.

È anche possibile, come si e’ visto platealmente a Genova nel 2001, che piccole componenti violente, a volte anche vicine e usate da politici e da dirigenti delle forze dell’ordine, deformino e rovinino l’immagine della intera manifestazione trasmessa dai grandi media, e servano bene a giustificare la repressione, in quel caso violentissima, della protesta civile e nonviolenta, per nascondere sotto i manganelli gli argomenti seri e validi. Si sa che, d’abitudine, un disordine limitato in una grande manifestazione pacifica, occupa l’intero spazio nella informazione drogata di sensazionalismo e di false raffigurazioni. Dopo l’assalto poliziesco violento della notte tra il 5 e il 6 dicembre al presidio di Venaus, e’ possibile che l’esasperazione e la disperazione spingano qualcuno ad azioni meno che nonviolente. Io non ritengo ne’ giusti ne’ efficaci i blocchi stradali, che procurano a terze persone disagi che possono risultare anche gravi. Avvengono simili blocchi mentre scrivo, nella giornata di martedi’ 6. Una breve fermata per informare i viaggiatori dei motivi della protesta sarebbe giusta e piu’ efficace. Ma tutta la lotta della Val di Susa finora e’ stata un alto esempio di opposizione nonviolenta.
Questa lotta come altre simili, per me e’ un nuovo segno che le popolazioni comprendono progressivamente il valore umano, politico e morale dei metodi nonviolenti. La storia ha insegnato ad abbandonare la fede rozza e ingenua nelle rivoluzioni violente, che sostituiscono una violenza all’altra. La nonviolenza positiva, attiva, politica, democratica, cresce, pur con la lentezza e gli alti e bassi di ogni grande opera umana, pur insieme a fenomeni contrari, come il razzismo volgare, che e’ violenza mentale, la piu’ profonda causa della violenza fisica. L’educazione del genere umano, grazie ai migliori maestri e alle esperienze di dolori e di conquiste, fa passi avanti e passi indietro, ma impara dai fatti e procede, sui tempi lunghi. Ne vediamo i segni, se abbiamo l’occhio teso e affinato. Il pessimismo vede corto, vede grosse le cose piu’ immediatamente vicine, non riesce a scorgere le cose fini e profonde, i movimenti lenti e lunghi. Nonostante i motivi certi di gravissime preoccupazioni, nel mondo minacciato da opposti terrorismi, dominato da poteri molto violenti e da contropoteri ugualmente violenti, dobbiamo impegnare il nostro sguardo e la nostra volonta’ a scoprire gli elementi umani reali da valorizzare e sviluppare.

Ma perche’ dico: anche la polizia? Altri sapranno meglio di me documentare quelle alcune iniziative, sorte dopo Genova 2001, di lavoro insieme ad agenti della pubblica sicurezza, per sviluppare la loro cultura, educazione e addestramento a tenere e ristabilire l’ordine senza uso di violenza. La forza pubblica, quando e’ corretta, contiene e riduce la violenza, non la moltiplica, non la esercita, non la provoca. Quando lo Stato e’ violento manca al primo dei suoi compiti, distrugge la necessaria fiducia dei cittadini. Non e’ vero che sua caratteristica e’ il monopolio della violenza (Max Weber). La violenza e’ distruttiva, mentre la forza e’ virtu’ umana. Violenza e’ quella di chi droga e plagia i poliziotti, di chi li chiude in una mentalita’ fascista. La polis civile e i suoi rappresentanti devono essere migliori di chi offende la civile convivenza. Puo’ essere necessaria la forza fisica nel caso estremo per imporre il rispetto della legge, ma mai senza un completo rapporto democratico, mai senza l’ascolto reciproco e il rispetto delle persone, anche se colpevoli. Gandhi, provando ad immaginare uno Stato che superi la barbarie della violenza istituzionale, lo pensa senza esercito, ma prevede che non potra’ fare a meno della polizia. La quale pero’ dovra’ essere educata e addestrata ai metodi nonviolenti, pur disponendo di armi leggere per eventuali casi estremi (cfr. Mohandas K. Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi, Torino 1996, pp. 142-144). Quei poliziotti “saranno i servitori e non i padroni del popolo”, “di fatto saranno dei riformatori”. Chi ritiene che cio’ sia impossibile, si condanna e ci condanna ai mali del presente. Se sperare di speranza attiva puo’ sembrare difficile, disperare e’ certamente rinuncia al meglio e cedimento al peggio della nostra umanità.

* Tratto dal notiziario telematico La nonviolenza in cammino

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