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L’epoca della mistificazione industriale

di Massimo Virgilio

La prestigiosa rivista scientifica inglese “The Lancet” ha recentemente pubblicato una lunga e dettagliata inchiesta su un fenomeno molto diffuso ma poco conosciuto.

È prassi comune e consolidata fra le grandi multinazionali del tabacco pagare scienziati, medici, primari, docenti universitari, affinché s’impegnino a screditare attraverso articoli, interviste, libri e convegni, tutti quegli studi – seppur fondati su ricerche inattaccabili dal punto di vista delle metodologie utilizzate e inequivocabili nei loro risultati – che in qualche modo riconducono la causa dell’insorgere dei tumori al fumo di sigarette e sigari, attivo o passivo che sia.
I contenuti dell’articolo hanno suscitato scandalo in ogni angolo del mondo. Anche in Italia stampa e televisione hanno riportato la notizia dello scorretto comportamento dei produttori di sigarette con toni sbalorditi.
Mai ci si sarebbe aspettato che delle aziende tanto conosciute potessero arrivare a compiere azioni così meschine. E soprattutto mai ci si sarebbe aspettato che illustri luminari della scienza e della medicina potessero abbassarsi a fornire opinioni basate su dati palesemente falsi e inattendibili in cambio di cospicue somme di denaro e di preziosi regali.
Un simile sbalordimento, però, non è del tutto giustificato.
Se i giornalisti si fossero meglio documentati, infatti, avrebbero scoperto che già nel 2001 due ricercatori del Center for Media and Democracy, un’organizzazione non-profit che esegue indagini sulle torbide manipolazioni messe in atto dalle grandi multinazionali attraverso le relazioni pubbliche, Sheldon Rampton e John Stauber, avevano pubblicato sull’argomento un’approfondita e circostanziata indagine, ora pubblicata in Italia da Nuovi Mondi Media con il titolo “Fidati! Gli esperti siamo noi. – Come la scienza corrotta minaccia il nostro futuro”.
Dal libro, ricco di fatti documentati, emerge chiaramente come tutte le industrie di un certo rilievo, e non solo quindi quelle del tabacco, si siano servite e si servano normalmente dei più importanti studi di pubbliche relazioni per dare ai loro prodotti e ai loro comportamenti un’immagine positiva e ben accetta al grande pubblico, anche quando quei prodotti e quei comportamenti non hanno nulla di positivo e perfino in quei casi in cui i primi sono nocivi e i secondi sono scorretti. Il trucco è semplice. Si ingaggiano “testimonial importanti”, nomi che tutti conoscono e rispettano, “con titoli e credenziali impressionanti”, persone che non abbiano alcun apparente legame con le aziende che invece ne finanziano gli interventi. Il loro compito è quello di esprimersi a favore di un determinato prodotto e di far apparire i loro pronunciamenti il più possibile disinteressati e super partes. Nel settore delle pubbliche relazioni un simile modo di fare è conosciuto col nome di “tecnica del partito terzo”. Le aziende mettono le parole che vogliono che i consumatori ascoltino in bocca a esperti indipendenti. Una tecnica, questa, che si presta a diversi usi: “per gonfiare o esagerare le qualità di un prodotto”, “per suscitare dubbi sui rischi di un prodotto, o sulle critiche avanzate contro le attività di una compagnia”. Come ha scritto Daniel Edelman, fondatore di una delle più importanti società di pubbliche relazioni, la Edelman PR Worldwide, “l’appoggio di terzi consente di piazzare un nuovo marchio e spianare la strada al successo, oppure di scongiurare un grave problema prima che vada fuori controllo, divenendo catastrofico per un prodotto specifico o per un’intera azienda”.
Mentre la pubblicità è una forma evidente di propaganda, la tecnica del partito terzo “viene concepita affinché il pubblico non si renda neanche conto di ciò a cui sta assistendo” e non si avveda del fatto che le sue opinioni e i suoi gusti vengano lentamente modificati nella direzione voluta dalle multinazionali che a tale tecnica si rivolgono per incrementare a dismisura i propri profitti. Secondo Jack O’Dwyer è proprio l’uso della tecnica del partito terzo che distingue le pubbliche relazioni dalla pubblicità. “Un’agenzia PR – scrive – può decidere di parlare direttamente al pubblico o ai dipendenti, ai clienti, ai fornitori di un’azienda, ma non è il modo migliore in cui un’agenzia PR può operare. L’influenza maggiore viene esercitata da un’agenzia che fornisce informazioni utili a importanti giornalisti e commentatori con un vasto seguito. In questo modo, il sostegno di una terza persona attira un vasto pubblico di lettori o spettatori a costi relativamente bassi. Lavorare con il sostegno di terzi, non con opuscoli, vendite promozionali e spot”. Secondo Rampton e Stauber sono numerosi i vantaggi che la tecnica del partito terzo offre rispetto alla propaganda diretta: “una copertura che consente di sottacere gli interessi in gioco che si celano dietro un messaggio; (…) si soddisfano gli interessi in gioco mentre si finge di promuovere un’idea indipendente. Alle volte, il messaggio viene persino concepito per rappresentare la ribellione; (…) si sostituisce la comunicazione razionale con un simbolismo carico di emotività. Talvolta, l’identità del messaggio è simbolicamente più importante del contenuto del messaggio stesso”.
La complessità del mondo in cui ci troviamo a vivere è tale che nessuno può pensare di riuscire ad agire correttamente solo sulla base della propria capacità di analisi e sulla propria esperienza. Fare riferimento agli esperti per indirizzare al meglio la propria esistenza è diventata una scelta obbligata, soprattutto in settori quali quello della scienza e della tecnologia, che negli ultimi decenni hanno compiuto progressi impressionanti, raggiungendo una complicazione e una difficoltà di comprensione mai registrate prima. Se si pensa poi che la scienza e la tecnologia pervadono ormai ogni aspetto della vita umana, dal cibo ai medicinali, dalle fabbriche alle comunicazioni, e via dicendo, allora si comprende bene perché il parere di scienziati e tecnici è sempre più richiesto e ascoltato da quei cittadini che intendono compiere scelte attente e consapevoli. I grossi gruppi industriali si sono ben presto resi conto che questo stato di cose poteva essere facilmente volto a proprio vantaggio e, grazie ad una campagna di persuasione molto ben orchestrata e di vaste proporzioni, sono riusciti ad imporre nell’immaginario collettivo la figura del tecnico e dello scienziato come persona al di sopra delle parti, che si limita solamente a studiare e applicare quelle incontrovertibili leggi della natura che il suo acuto raziocinio gli consente di scoprire e di dominare. Ecco il dogma che le multinazionali hanno inculcato nelle menti della stragrande maggioranza della popolazione mondiale: la scienza non è a favore o contro qualcuno o qualcosa; la scienza è neutrale, così come è neutrale lo scienziato. Come ha scritto Douglas Walton, professore di filosofia all’Università di Toronto, “l’evoluzione scientifica ha portato a un peniero positivista, secondo cui la conoscenza deve essere basata su esperimenti scientifici e calcoli matematici, mentre tutto il resto deve essere considerato soggettivo”.
La stessa patente di neutralità, secondo gli autori, è stata poi data dalle grandi corporazioni anche ai giornalisti. Questi ultimi, al pari degli scienziati, vengono spesso utilizzati nella tecnica del partito terzo, sia perché lavorano per mezzi d’informazione in grado di raggiungere migliaia, centinaia di migliaia e perfino milioni di persone, sia perché, appunto, “il pubblico si aspetta che i giornalisti lavorino in modo imparziale a favore della verità”. Rampton e Stauber non riescono a celare la loro animosità nei confronti della maggior parte dei giornalisti, accusata di essere “troppo mediocre per dedicare il suo tempo al giornalismo d’inchiesta” e di attingere “principalmente alle informazioni fornite attraverso i comunicati stampa delle multinazionali o del governo”. A sostegno delle loro critiche essi citano uno studio del 1980 condotto dalla “Columbia Journalism Review”. Tale studio, attraverso l’attenta analisi di un unico numero del quotidiano statunitense “Wall Street Journal”, dimostrava come oltre la metà dei servizi in esso contenuti si basava esclusivamente su comunicati stampa e che questi ultimi erano spesso ripresi quasi integralmente, con pochissime informazioni in più. “Non vi è motivo di credere – affermano gli autori del libro – che la situazione da allora sia migliorata o che sia in alcun modo differente in altri giornali”. Anzi, si può tranquillamente sostenere che il medesimo fenomeno è riscontrabile anche nell’informazione radiotelevisiva.
Si capisce allora quanto pericoloso e devastante per la nostra vita possa essere l’applicazione della tecnica del partito terzo da parte delle aziende di pubbliche relazioni al soldo delle multinazionali. I due scrittori pongono ai lettori una domanda inquietante: “cosa sono disposti a fare i potenti per manipolare e controllare la nostra percezione della realtà?”. La loro risposta è, se possibile, ancora più inquietante della domanda: qualsiasi cosa. Il consenso dei consumatori – tali sono i cittadini per i grandi potentati economici – verso i marchi e i prodotti proposti dalle multinazionali deve essere conquistato ad ogni costo e con tutti i mezzi. La prosperità dei produttori non dipende dalla qualità dei loro prodotti e dei loro comportamenti, ma dal consenso che essi riescono a catalizzare. E per ottenere consenso i produttori sono disposti a spendere qualsiasi cifra e a impiegare qualunque tecnica. “Nessuno sa per certo quanto negli Stati Uniti viene speso ogni anno in relazioni pubbliche, ma può essere prudente una stima di 10 miliardi di dollari”. Per raggiungere più rapidamente e più efficacemente i propri obiettivi l’industria delle relazioni pubbliche si è appoggiata alle scienze sociali. Schiere di sociologi, psicologi ed esperti di sondaggi di opinione lavorano fianco a fianco e in stretta collaborazione con programmatori d’informatica per sviluppare enormi archivi di dati, talmente complessi e sofisticati da riuscire a definire una psicografia prevalente persino nei singoli quartieri di una determinata città. “Nell’odierna era elettronica, il settore PR utilizza numeri verdi, indagini telefoniche, siti web interattivi e invio di fax multipli. L’attuale settore delle relazioni pubbliche si è espanso a tal punto che la sua invisibilità è data proprio dal fatto che esso impera ovunque – dalle T-shirt che raffigurano i marchi di prodotti, all’apparizione di prodotti nei film, fino alle diverse iniziative dietro le quinte, ai fini della comunicazione del prodotto, della gestione della percezione o della gestione della crisi (tanto per usare alcuni dei termini in voga)”.
Come può un semplice cittadino difendersi da questi innumerevoli e incessanti tentativi di condizionare le sue scelte e di manipolare le sue opinioni? Certo i mezzi economici e cognitivi che ha a disposizione non possono competere con quelli di cui dispongono le aziende multinazionali. Ma qualcosa può comunque fare. “Non conosco migliore custode del potere di una società del popolo stesso; – ha scritto Thomas Jefferson – e se crediamo che il popolo non sia sufficientemente colto e preparato da esercitare tale controllo con adeguato discernimento, il rimedio non è sottrarglielo, ma educarlo a tal fine”. Innanzi tutto mettere sempre in discussione e verificare da fonti diversificate quanto viene presentato come fatto incontestabile. In secondo luogo evitare di fare affidamento su alcuni stereotipi infondati associati alla competenza. “Tali stereotipi – affermano Sheldon Rampton e John Stauber – comprendono l’età, la ricchezza, il sesso maschile, la razza bianca, la sicurezza di sé, le credenziali, la specializzazione e l’elitarismo tecnologico. Nell’esaminare il messaggio dell’interlocutore, vale la pena chiedersi se non lo stiamo sopravvalutando in base ai capelli grigi, a una voce profonda, a titoli accademici dall’apparenza prestigiosa e a un abbigliamento distinto”. In terzo luogo diffidare sempre di ciò che viene descritto come verità scientifica. “In realtà, tutta la scienza è in qualche misura incerta. La natura è complessa e la ricerca è difficile. La scienza può indicare tutto al più le probabilità che la risposta a una data domanda corrisponda al vero”. In quarto luogo fare costantemente pressione affinché le autorità, i tecnici, gli scienziati, i giornalisti si sentano pienamente responsabili nei confronti dell’intera collettività di quello che fanno, che dicono e che scrivono. I cittadini non sono “un gregge da guidare”; gli esperti devono essere sempre al servizio della cittadinanza.
In ultima analisi, sostengono Rampton e Stauber, il tipo d’impatto che gli esperti possono avere sulla nostra vita dipende dal nostro ruolo di fruitori d’informazioni. Gran parte della propaganda e delle campagne organizzate dalle aziende di pubbliche relazioni – essi scrivono – sono concepite “per influenzare coloro che non sono particolarmente interessati o informati su un determinato argomento. Vi è un motivo alla base di questa strategia. I propagandisti sanno che le persone più attive e informate hanno probabilmente idee più salde, difficilmente influenzabili. Le persone più semplici da manipolare sono coloro che non si interessano molto a un dato argomento e che sono quindi più ricettive verso qualunque argomentazione apparentemente plausibile”. Certo è impossibile che tutti siano perfettamente informati e interessati su tutto ciò che avviene. Tuttavia, per evitare che esperti indipendenti possano controllare, manipolare e condizionare le nostre esistenze a loro piacimento, è decisivo che ciascuno di noi dedichi più tempo ad approfondire non solo quegli argomenti che lo toccano più da vicino, ma anche quelli che possono avere una certa importanza per l’intera collettività. Si tratta, insomma, di informarsi per formarsi. Di assumersi responsabilità per diffondere attorno a sé senso di responsabilità.

“Fidati! Gli esperti siamo noi” di Sheldon Rampton e John Stauber, Nuovi Mondi Media, novembre 2004, 290 pagine. 18,50 euro.

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