Nonluoghi Archivio Referendum, voci da una comunità cristiana

Referendum, voci da una comunità cristiana

Con convinzione, per amore della vita, con il desiderio di essere coerente con il Vangelo, voterò quattro sì.
Constato con gioia che, al di là della scontata politica vaticana, sempre più alleata delle culture tradizionaliste e dei poteri reazionari, anche nella chiesa cattolica esiste e si esprime un apprezzabile pluralismo. La gerarchia cattolica, fanalino di coda o controparte in ogni cammino di civiltà e di liberazione, in questa occasione mostra la sua vera faccia. La manovra, che vuole dare l’immagine di una chiesa compatta nell’astensionismo, nasconde una menzogna. Nella “cultura dei diritti, dei doveri e dei limiti” occorre, a mio avviso, valorizzare gli apporti della scienza e della coscienza, quando ricercano e promuovono possibilità e scelte a favore della vita. La “retorica dell’embrione” chiude la porta alla speranza di molte persone che vogliono avere figli e impedisce un passo da gigante nel campo della ricerca per lottare contro malattie di carattere ereditario.
Di fronte a problemi così rilevanti e diffusi, abbiamo bisogno, ben al di là dei referendum, del confronto e dell’apporto di tutti. Nessuna cultura, nessuna religione, nessuna ideologia può presumere di trovare da sola la soluzione e le risposte ad ogni interrogativo. Un’etica laica valorizza, nel confronto sistematico, la pluralità delle voci, fuori da ogni confessionalismo. La presunta assolutezza dei principi ci impedisce un’etica ed una politica della responsabilità, quella bilancia precaria tra ideali e realtà che deve essere trovata sempre di nuovo nelle mutevoli situazioni storiche e personali.
Come cittadino e come credente sono cosciente che il mio impegno per promuovere la vita va ben oltre i 4 SI che voterò al referendum. Esso deve diventare pratica quotidiana contro la violenza, lo sfruttamento, la guerra e ogni genere di discriminazione.

don Franco Barbero

[Comunità di Viottoli]

Per una “campagna” lunga una vita

Domenica 15 maggio ho partecipato in comunità a un incontro-dibattito sulla “genitorialità omosessuale” organizzato da “La Scala di Giacobbe”, due giorni dopo un incontro di avvio della campagna referendaria contro la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita (PMA). Mi è venuto spontaneo pensare che gli ostacoli alla possibilità di compiere in piena libertà e autonomia le proprie scelte di vita da parte della persone, siano donne con desiderio di maternità, siano omosessuali con desiderio d’amore, sono prodotti della stessa cultura: la cultura del dominio e del controllo, della superiorità e della paura di perderla, instaurata da millenni ad opera dei maschi adulti del genere umano, che si sono imposti, con la forza e la violenza, come metri di paragone e giudici inappellabili nei confronti di chi trasgredisce.
Come spiegare altrimenti il NO di molti uomini al quesito referendario sulla fecondazione eterologa, anche da parte di molti di quelli che dichiarano il proprio SI agli altri tre? Autodeterminazione e libertà femminile, libertà di ricerca e tutela della salute della donna… OK, ma “mia moglie incinta di un altro”? Siamo matti? Il figlio è mio, quindi “deve” essere mio. La paternità biologica come diritto di proprietà, sommo valore, superiore all’amore, alla donazione di sé, all’accoglienza del desiderio di genitorialità condiviso, fino a quel momento, con la propria compagna. Un uomo può autorizzarsi a dire di suo figlio: “L’ho fatto io e io posso anche disfarlo!”.
E’ il patriarcato: proprietà, controllo, dominio, fino al diritto di vita e di morte, da parte dei “padri” nei confronti di donne, figli e figlie, animali e, in generale, di tutto ciò che è altro dall’uomo adulto; perché lui è più forte, capace di violenza anche estrema e, soprattutto, legato agli altri uomini adulti da un tacito e ferreo patto di complicità e omertà.
E’ il patriarcato che ha partorito (metaforicamente) il mito del “dominio” dell’uomo sulla natura, così come ce lo racconta, ad esempio, la Bibbia: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo…” (Genesi 1,26); “Dio li benedisse e disse loro: ‘Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate…”Genesi, 1,28); “Dio dei padri… che con la tua sapienza hai formato l’uomo, perché domini sulle creature fatte da te…” (Sapienza 9,1-2). E agli “uomini del sacro” non par vero di poter continuare ad attaccarsi alla lettura fondamentalista di questi miti patriarcali per autorizzarsi a perpetuare il proprio dominio sul mondo: in primis sulle donne (la “natura”), in forza della complicità e del sostegno che ricevono in dono dalla stragrande maggioranza degli appartenenti al loro genere (uomini = la “razionalità”).
E’ in base a questa “cultura” che i nostri parlamentari, in stragrande maggioranza uomini e trasversalmente ai diversi schieramenti politici, hanno pensato e approvato la legge 40, intrinsecamente violenta nei confronti delle donne; hanno insultato senza vergogna le donne parlamentari che manifestavano la loro contrarietà (e chi non le insultava non ha preso le distanze pubblicamente da quella violenza, salvo rarissime eccezioni); si proclamano, la gran maggioranza di loro, tutori della vita fin dal primo istante del concepimento e, contemporaneamente, fanno guerre, ne preparano altre, condannano alla morte e alla disperazione miliardi di esseri viventi, difendono e invocano la pena di morte… e via elencando. A loro non interessa davvero la vita, quanto l’affermazione del proprio dominio.
E noi? Parlo di noi, uomini sensibili e attenti, militanti convinti di ogni campagna di libertà… Già! Quante “campagne” abbiamo fatto nella nostra vita: divorzio, aborto, unità sindacale ed egualitarismo, centrali nucleari, scala mobile, guerre varie… e ogni volta siamo daccapo! Perché chi domina e comanda è sempre strenuamente al proprio posto: al governo e nell’economia, in Vaticano e nelle forze armate, nei partiti e nei sindacati…
Per scalfire e destrutturare la cultura del dominio non serve, a mio avviso, lottare per sostituire un gruppo dominante con un altro. Occorre un passaggio radicale, un “salto quantico” (per dirla con Mary Daly) dall’ordine simbolico del dominio a quello dell’amore e della convivialità di tutte le differenze. Salto che ognuno deve maturare e fare in sé stesso e a partire da sé. Il simbolico produce cultura, che è pensiero che, a sua volta, orienta le scelte e le pratiche quotidiane di vita. Solo così, credo, riusciremo a depotenziare la cultura patriarcale: per me e per altri uomini, che stanno facendo questa scelta di vita, mi accorgo che non ci sono più omosessuali ed eterosessuali, ma uomini e donne che amano e si amano; non ci sono più extracomunitari e padani, ma uomini e donne che cercano spazi e possibilità di vita; e così via.
Perché (questo è il passaggio fondamentale) non ci annoveriamo più tra i dominanti, ma stiamo imparando a riconoscere e nominare la nostra parzialità, individuale e di genere, alla pari con la parzialità di ogni altra creatura. E non ci saranno più uomini che fanno campagne per la pace e per la libertà e poi si autorizzano a violentare donne, com’è successo durante il recente social forum di Porto Alegre. O a produrre e consumare pornografia, schiavizzando torme di ragazze, per imporre lo sguardo maschile, proprietario e violento, sulle donne e sul senso del loro essere al mondo.
Se imparo ad amare e a stare con amore nella relazione con la mia compagna, non sentirò il bisogno di proclamare la mia proprietà su quel bambino o quella bambina: è mio figlio, mia figlia, perché la donna che l’ha messo/a al mondo me lo/la affida perché lo/la ami come un padre. E’ “nostro” figlio, “nostra” figlia! Perché me lo dice lei.
Forse imparerò anche a sentirmi profondamente, realmente, responsabile della vita e della crescita di ogni cucciolo e di ogni cucciola, di ogni creatura umana, animale, vegetale… della natura e dell’ambiente, dell’aria e dell’acqua… E’ la paternità/genitorialità adottiva, sociale.
Davvero ci tocca fare il “salto” da un ordine simbolico all’altro, se vogliamo fare anche noi la nostra parte nel tentativo di “rimettere al mondo il mondo”, insieme alle donne dell’arcipelago femminista. Smettendola di mobilitarci solo, di volta in volta, per qualche “campagna”.
Beppe Pavan

[Comunità di Viottoli]

nonluoghi

nonluoghi

Questo sito nacque alla fine del 1999 con l'obiettivo di offrire un contributo alla riflessione sulla crisi della democrazia rappresentativa e sul ruolo dei mass media nei processi di emancipazione culturale, economica e sociale. Per alcuni anni Nonluoghi è stato anche una piccola casa editrice sulla cui attività, conclusasi nel 2006, si trovano informazioni e materiali in queste pagine Web.

More Posts

ARTICOLI CORRELATI