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La crisi nella terra dei Suv e dei Tir

Zenone Sovilla

Siamo veramente un Paese sui generis. Da un lato abbiamo a che fare quotidianamente con il problema irrisolto dell’aria irrespirabile nelle nostre città (e delle conseguenti malattie e morti), dall’altro celebriamo nei mass media le vendite di automobili. Come se le due cose non fossero facce della stessa medaglia che ci sta schiacciando in questo lungo e rischioso declino della tecnologia ottocentesca chiamata motore a scoppio: i padroni del petrolio e i loro alleati – nonché i pesanti riflessi sociali e lavorativi – sono riusciti sia a paralizzare l’evoluzione tecnologica sia a indurre le persone all’uso totale dell’auto individuale marginalizzando i mezzi collettivi e l’andare a piedi o in bicicletta.
D’altra parte, che dire se mentre ci si interroga a vuoto sul miglioramento della qualità dell’aria, i centri storici e le stradine di montagna e di campagna sono  invasi da quelle vie di mezzo fra una vettura e un Tir chiamate Suv (Sport Utility Vehicles)?


Prendiamo il ricco Trentino: dai paesini alla città è una moda danarosa, se non son Suv sono veri e propri fuoristrada, in genere per gente che al massimo dell’avventura parcheggia in Bondone per andare a sciare.
Si tratta di veicoli che consumano enormemente più di una utilitaria, che rappresentano un grave pericolo in caso di incidente (data la stazza, le dimensioni e la forma), che secondo alcuni studi presentano anche altri rischi aggiuntivi nel traffico, che necessitano di molto spazio per circolare e sostare, che inglobano anche costi di produzione significativi in termini energetici e ambientali.
Insomma, come denunciano molte organizzazioni ecologiste, sono uno dei simboli della società dei consumi e dello sviluppo insostenibile. Inoltre, sono un chiaro simbolo di diseguaglianza sociale e di distribuzione iniqua del reddito: mentre i più devono stringere la cinghia e stentano ad arrivare alla fine del mese, ecco che una minoranza fa proliferare le vendite di Suv e di enormi fuoristrada che invadono il territorio e diventano oggetto di culto negli spot pubblicitari (e nelle rubriche di disinformazione) in tv o nelle riviste patinate, naturalmente sempre immersi in panorami incontaminati e silenziosissimi.
Il fenomeno è aggressivo e rilevante sia nelle aree metropolitane sia nelle zone montane o collinari, dove un numero significativo di persone, evidentemente ben disposte a spendere soldi per automobili in cui sentirsi più privilegiati e sicuri, scambia le stradine strette e tortuose dei nostri monti per le praterie del Texas e si muove con fuoristrada, pickup o Suv di dimensioni impressionanti, mettendo così in pericolo l’incolumità altrui e contribuendo al tasso di polveri sottili spesso oltre le soglie d’allarme anche in piccole località di villeggiatura d’alta quota.
Le richieste di vietare o almeno limitare l’uso di queste auto “geneticamente modificate” si rincorrono e in qualche caso diventano legge, come a Firenze con l’ordinanza che mette al bando le Suv in centro storico o a Parigi con la decisione di varare un simile provvedimento. In Germania il noto ecologista Wolfgang Sachs, già direttore di Greenpeace, propone saggiamente una misura netta: vietare la vendita di Suv, veicoli che definisce “altamente inefficienti” accusandoli di “aggravare la già pesante dipendenza dal petrolio”, perciò “nessun governo di buon senso può autorizzare auto ad alto spreco”.
In Italia, il govero di centrosinistra non è riuscito sostanzialmente a correggere la deriva incoraggiata dal centrodestra: nella Finanziaria 2007 doveva esserci, ma poi si è sgonfiato, un provvedimento fiscale che aveva lo scopo di scoraggiare l’acquisto di Suv.
Per parte sua, Bob Ecker, scrittore americano, propone un esperimento per ricondure a più miti consigli i cittadini: proibire la pubblicità delle auto così come si fece con quella delle sigarette. In entrambi i casi siamo di fronte a prodotti che hanno effetti dannosi sulla salute di chi li utilizza e degli altri: in Italia fra inquinamento e incidenti si parla di oltre diecimila morti l’anno (ma secondo alcune stime sono molti di più) e di centinaia di migliaia di spedalizzazioni, che oltre a rappresentare un dramma per le vittime sono anche un pesante costo sociale ed economico (a proposito di spesa pubblica…).
L’autore, che è il presidente dell’associazione degli scrittori di viaggi della Baia di San Francisco propone di smitizzare l’auto, di metterene in primo piano anche le controindicazioni, di favorirne un uso limitato e consapevole.

Nel caso delle auto poi, se ci facciamo caso, la pubblicità generalmente è ingannevole: ce le mostra immacolate e silenziose (come se funzionassero ad acqua con sottofondo musicale…), suadenti e solitarie (tutto lo spazio solo per noi), dentro territori naturali e incontaminati (dall’Artico alla Savana) così ammiccanti al nostro immaginario di libertà eppure così lontani dalla realtà delle nostre città coperte da una mortale cappa grigia dentro la quale finiremo per guidare il desiderato feticcio a quattro ruote, nelle code sulle tangenziali della nostra malattia metropolitana.

Nella riforma del Codice della strada si è inserito un divieto sull’uso della potenza e della velocità come richiamo pubblicitario. Solo un piccolo passo, la cui applicazione sarà tutta da verificare, in un contesto che incentiva in continuazione l’uso e l’acquisto dell’automobile celebrandone i gran premi di formula uno o i rally di montagna.
Purtroppo, nel discorso pubblico italiano si continua largamente a ragionare e a mettere in atto operazioni propagandistiche – probabilmente non proprio disinteressate – come se il tempo si fosse fermato a quarant’anni fa, come se oggi, con l’umanità sul baratro di un collasso ecologico irreversibile, avesse senso riproporre le medesime ricette di “sviluppo” che hanno mostrato gravissimi effetti collaterali e che, al contrario, vanno rimesse profondamente in discussione per costruire un futuro di “benessere”.
E invece, imprenditori, politici, opinionisti, accademici e giornalisti (categorie ampiamente ancorate a questa visione sviluppista preistorica, siamo il Paese della diretta tv per la nuova Fiat 500) non fanno che bombardare quotidianamente i cittadini con le vecchie suggestioni da zombi sulla necessità di “grandi infrastrutture”, siano esse nuove autostrade, per completare l’intasamento del territorio con Tir carichi di merci e semilavorati che si sposatano inutilmente creando pesanti costi sociali, oppure treni ad alta velocità che portano benefici solo nelle tasche dei costruttori.
Così, può capitare che nel giorno in cui il governo ci spiega che la ferrovia ad alta velocità da Lisbona a Kiev è uno snodo fondamentale del benessere degli italiani (!), in Sardegna due treni si scontrano frontalmente su una vecchia strada ferrata ancora a binario unico (come molte in Italia) e muoiono alcune persone. Non serve un’aquila per comprendere che cosa porterebbe davvero giovamento alla popolazione italiana: migliorare profondamente la rete ferroviaria e i trasporti pubblici metropolitani o buttare centinaia e centinaia di miliardi di euro pubblici in opere tanto grandiose quanto inutili e addirittura a rischio di non finire mai o di essere pronte quando gli scolari di oggi saranno in casa di riposo.

Idem per il traffico su gomma: come si può pensare di affrontare inquinamento e crisi energetica senza mettere in atto strumenti che scoraggino l’uso di auto e Tir, e più in generale orientino il corpo sociale al risparmio e alla sobrietà?
È forse scoraggiare l’uso delle vetture private distribuire incentivi per rinnovarne rapidamente il parco nazionale? E lo è mantenere i pedaggi autostradali per gli autotreni a livelli enormemente più bassi di altri Paesi europei? Far costare il trasporto impazzito di merci avrebbe sicuri effetti dissuasivi, ma ci vuole il coraggio di affrontare l’agguerrita lobby delle aziende di autotrasporto, architrave di un disegno che vorrebbe fare dell’Italia la piattaforma logistica d’Europa, con buona pace di chi la abita. L’attuale Parlamento italiano, invece, ha stralciato dalla Convenzione delle Alpi, in sede di ratifica, proprio il protocollo trasporti suscitando fra le varie rezioni indignate quella del Club alpino italiano.

Una delle patologie degli zombi della politica italiana è questa schizofrenia che fa solo confusione e non corregge minimamente i fenomeni dannosi di cui essa stesa è la principale responsabile – a livello centrale e territoriale – avendo assecondato per decenni i processi devastanti con cui ora stiamo facendo i conti.
Buon senso vorrebbe che chi ha contribuito a portarci in mezzo al guado, nella melma, adesso almeno si faccia da parte e non pretenda di farsi pagare da noi tutti anche come “guaritore”: abbiamo sperimentato la sua incapacità, forse facciamo meglio da soli. Grazie lo stesso.
È arrivato il momento delle scelte profonde, sia per intervenire direttamente su dinamiche devastanti (come l’inquinamento industriale e da traffico) sia per mettere in atto correttivi su fenomeni collaterali dall’elevato peso simbolico (come i Suv in città o le moto che usano i passi di montagna come la pista di un Gp rendendo insopportabili, sul piano acustico, visivo e olfattivo, anche i più incantevoli luoghi d’alta quota). Il percorso di inversione di questa tendenza è inevitabile, ma la ragnatela di interessi e di connivenze fra pubblico e privato lo rallenta al punto da mettere in secondo piano la priorità della tutela della salute umana e della sopravvivenza dell’ambiente naturale.

Perciò, oggi più che mai, urgono mobilitazioni istituzionali e popolari per portare all’ordine del giorno, nell’asfittico dibattito pubblico nazionale e locale, iniziative radicali su questioni talmente grandi e complicate che troppo spesso si preferisce ignorarle per non ammettere la propria impotenza culturale.

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Questo sito nacque alla fine del 1999 con l'obiettivo di offrire un contributo alla riflessione sulla crisi della democrazia rappresentativa e sul ruolo dei mass media nei processi di emancipazione culturale, economica e sociale. Per alcuni anni Nonluoghi è stato anche una piccola casa editrice sulla cui attività, conclusasi nel 2006, si trovano informazioni e materiali in queste pagine Web.

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