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Cinque domande ai Signori della guerra

di Paolo Barnard
Non mi perdo in preamboli: la nostra Guerra al Terrorismo sembra aver prodotto finora un crimine contro l’umanità pari a quello perpetrato l’11 Settembre 2001 a New York e a Washington, pari sia per l’assurdità delle
intenzioni che, all’incirca, per il numero di vittime innocenti.
(gennaio 2002) Non mi perdo in preamboli: la nostra Guerra al Terrorismo sembra aver prodotto finora un crimine contro l’umanità pari a quello perpetrato l’11 Settembre 2001 a New York e a Washington, pari sia per l’assurdità delle
intenzioni che, all’incirca, per il numero di vittime innocenti.

Ma la mia opinione vale quel tanto. Ciò che invece vale è l’obiettività dei seguenti punti, ai quali i sostenitori della Guerra al Terrorismo di Bush, Blair e Berlusconi devono dare risposte precise. Ripeto: DEVONO.

Primo punto: quanti civili afghani sono stati uccisi da questa guerra?
Infatti ancora non esistono cifre ufficiali sulle vittime innocenti della triade di fuoco americana Cruise-Daisy Cutters-Cluster Bombs, fatta piovere dal cielo sulle distese afghane. Tuttavia un tentativo di raccogliere dati attendibili sui morti civili dei bombardamenti è stato fatto, e il risultato parla di 3.767 vittime finora (“A Dossier on Civilian Victims of United States’ Arial Bombing of Afghanistan”, Prof. Marc Herold, Department
of Economics, University of New Hampshire, Usa); è una cifra per difetto, poiché il Prof. Herold non ha tenuto conto:
– 1) dei decessi avvenuti in seguito alle ferite riportate
– 2) delle morti avvenute fra il 10 dicembre
2001 e oggi;
– 3) delle morti per fame e gelo a causa dell’interruzione delle forniture umanitarie imposta dai bombardamenti
– 4) dei morti fra i contadini in fuga che sono incappati nelle vecchie mine della guerra sovietica o nelle bombette Cluster appena sparse dagli americani attorno ad alcuni villaggi.

E non si risponda che si tratta di morti accidentali, poiché la decisione di bombardare da alte quote è stata presa a Washington e a Londra con lo scopo preciso di risparmiare le vite dei loro piloti e dei loro marines.
Dopo la strage nel villaggio afghano di Chowkar-Karez (93 civili morti) bersagliato da un AC-130 americano, il Pentagono ha commentato nel seguente modo: “Quelli sono morti perché li volevamo morti” (Pentagon Press Release, October 2001). E se questa dichiarazione può sembrare inumana, vale la pena ricordare che il cinismo più sconcertante è la norma a Washington: quando
la giornalista americana Lesley Stahl chiese all’allora Segretario di Stato Madeline Albright se la morte di 500.000 bambini iracheni era un prezzo che Washington poteva moralmente pagare per mantenere le sanzioni contro Saddam Hussein, la Albright rispose: “Dopo tutto, sì, ne vale la pena” (CBS, 60
Minutes, 12/5/1996).
E precisamente le stesse parole erano state usate dal George Bush Senior per commentare i 2.000 civili panamensi uccisi nel patetico tentativo americano di rovesciare Manuel Noriega nel 1989: “Ne è valsa la pena” (New
York Times, 22 Dic 1989, pag 16).
Di nuovo: quanti civili afghani sono stati uccisi da questa guerra?

Secondo punto: quanti morti fra i civili afghani ci saranno? Sto parlando
dei futuri morti per freddo, per fame o per malattia in seguito
all’interruzione delle forniture umanitarie causata dai bombardamenti, e
alla quale la cosiddetta “liberazione” di Kabul ha posto assai pochi
rimedi.
Sto parlando del pericolo futuro per i civili inermi (soprattutto
per le donne) rappresentato dalle bande di assassini, stupratori e
coltivatori di oppio che formano larga parte della cosiddetta Alleanza del
Nord; e ancora, sto parlando dei futuri morti perché incappati nelle bombe
Cluster o perché uccisi dalle famigerate mine sovietiche.

Ma andiamo con
ordine.
Christian Aid, una delle più stimate ONG del mondo, ha dichiarato che
“Dall’11 Settembre il nostro lavoro è stato di fatto bloccato” e “Dal 12 di
novembre, data della liberazione di quasi tutto l’Afghanistan, la quantità
di aiuti che ci è concesso portare è crollata di più della metà, nonostante
l’assenza dei Talebani.” (Independent on Sunday, 9/12/2001).

La giornalista
del Sunday Telegraph Christina Lamb ha testimoniato di aver visto in pieno
Afghanistan “liberato” gente morire di fame e bambini in fasce succhiare
dagli stacci delle loro madri già morte di assideramento (Maslakh,
provincia di Herat il 9 dicembre 2001).

Il responsabile degli aiuti
dell’ONU, Kenzo Oshima, ha dichiarato: “Ci saranno molti decessi di civili
nelle prossime settimane se la situazione di anarchia e violenza
nell’Afghanistan liberato non cesserà” (Conferenza di Berlino, Dic 2001).
Norah Niland, dell’Uffico di Coordinamento dell’ONU a Kabul ha detto: “I
dissensi e la violenza fra le fazioni vittoriose ha drasticamente ridotto
la nostra capacità di prevenire sul terreno i disastri dell’inverno
imminente” (The Independent, 9/12/2001).

Il World Food Programme ha portato
1.000 tonnellate di farina nelle zone dove gli afghani sono ridotti a
mangiare erba, ma, ha dichiarato la portavoce Abby Spring, “…abbiamo il
cibo, i camion, il denaro… ma con i nuovi capiguerriglia che ora si
contendono le strade vi sono zone che non possiamo raggiungere.” (The
Associated Press, 08/01/2002).

Oxfam, un’altra autorevole ONG internazionale, ha semplicemente commentato:
“Stiamo lavorando sull’orlo del precipizio” (The Guardian, 22 nov. 2001).
E ora passo alla facile previsione di quanti afghani e (soprattutto)
afghane verranno uccisi dalla violenza endemica dei “nostri amici”
dell’Alleanza del Nord, che, ricordiamolo, fuggirono da Kabul nel 1996
inseguiti dai Talebani, lasciandosi alle spalle 50.000 morti in soli 4 anni
di governo (“Afghanistan, making human rights the agenda”, Amnesty
International, Londra 13/11/2001).
RAWA, l’associazione rivoluzionaria delle donne afghane che ha vissuto
sulla propria pelle gli orrori sia dei Talebani che dei loro predecessori,
ha scritto: “La nostra gente non ha dimenticato gli orribili anni di
terrorismo e oscenità per mano dei Jehadis (l’Alleanza del Nord). Sono
degli assassini.” (RAWA Statement, 11/10/2001).
Queste parole hanno
fondamento, e infatti il giornalista e storico inglese Robert Fisk scrive:
“Rasoul Sayaf, oggi uno dei capi dell’Alleanza del Nord, gestiva sia un
centro di tortura per afghani shiiti che una tratta di schiave del sesso
per i suoi soldati (ZNet, 11/10/2001).

In un recente scritto Rasil Basu,
che fu Consulente del Governo afghano per conto del Programma di Sviluppo
dell’ONU, ci ha rinfrescato la memoria su chi veramente siano i “nostri
amici” dell’Alleanza del Nord, i “liberatori” oggi al governo a Kabul
grazie soprattutto alle nostre bombe. Scrive Basu: “Usavano violentare e
torturare le donne come arma di controllo sulla popolazione civile, e
l’impunità per le loro truppe era totale…. Il terrore degli stupri spinse
molte donne al suicidio, e alcuni padri uccisero le figlie per evitare
quell’onta… Già nel 1994 (con l’Alleanza del Nord al governo) la Suprema
Corte di Kabul ordinava alle donne afghane l’uso del velo su tutto il corpo
e proibiva loro di uscire di casa, e questo perché erano considerate
sediziose” (“The Rape of Afghanistan”, 31/12/2001, ZNet).

Non a tutti sono arrivate le dichiarazioni del nuovo ministro della
giustizia afghano, Karimi, e di un suo giudice, Ahamat Uliha Zarif,
rilasciate alla Agence France Presse. Sono parole dei “nostri alleati”, non
dimentichiamocelo: “I Talebani appendevano pubblicamente i cadaveri dei
giustiziati per 4 giorni. Noi li appenderemo per 15 minuti soltanto”, e
ancora: “Adulteri e adultere saranno certamente lapidati, ma noi useremo
pietre più piccole” (Alexander Cockburn, Killing with smaller stones,
08/01/2002).
Non può mancare in conclusione l’autorevole intervento di Amnesty
International, per voce del suo Segretario Generale Irene Khan: “La
popolazione afghana è oggi alla mercé di gruppi armati responsabili di
orrendi crimini contro i diritti dell’uomo” (“Afghanistan, making human
rights the agenda” Londra 13/11/2001).
Infine il pericolo ordigni abbandonati. Le bombe Cluster, lanciate dagli
USA sull’Afghanistan, esplodono spargendo a pioggia centinaia di bombette
micidiali. Mark Hiznay, ricercatore di Human Rights Watch di New York, ha
lanciato un allarme “…Per le circa 5.000 bombette inesplose (ma
potrebbero essere addirittura 70.000) sparse sul terreno afghano, che
rimarranno una minaccia per anni. Esse sono il risultato dell’uso americano
di 350 bombe Cluster, ciascuna contenente 202 bombette che possono
esplodere al solo tatto” (HRW press release 17/11/2001).
Il fatto
sconcertante è anche che queste micidiali bombette “…sono quasi identiche
per forma e colore alle razioni alimentari che gli USA hanno fatto piovere
dal cielo” (The Independent, 17/11/2001), per cui si immagina la tragica
ironia della storia.
Di nuovo: quanti morti fra i civili afghani ci saranno?

Terzo punto: è stato sconfitto, o almeno minato, il terrorismo isalmico?
All’indomani delle stragi dell’11 Settembre di New York e Washington, il presidente Bush dichiarava: “Dobbiamo catturare i malvagi esecutori di questo vile atto e dobbiamo trascinarli davanti alla giustizia”. Partiva
dunque il bombardamento anglo-americano sull’Afghanistan. Il 19 dicembre scorso, dopo tre mesi di guerra, miliardi di dollari spesi e migliaia di morti in Afghanistan, il ministro della difesa statunitense, Donald Rumsfeld dichiarava: “Ci aspettiamo altri attacchi terroristici devastanti, anche su Londra” (Guardian Special Reports, 20/12/2001). Bel risultato.

Fin dalle prime ore dopo quel terribile 11 Settembre abbiamo saputo che i più
spietati e determinati terroristi islamici della storia moderna erano quasi tutti Sauditi e di classe media, mentre il responsabile della Giustizia Usa John Ashcroft ci confermava che l’operazione era stata pianificata in Germania. Per la maggior parte sono Sauditi anche i terroristi islamici che infestano Luxor, in Egitto, e Saudita è lo studio legale che li difende
(“Beirut to Bosnia”, Channel 4, 1993, GB). Di origine Saudita è anche il tipo di purismo islamico che ha ispirato i Talebani: si chiama Wahhabismo (“War Against the Planet”, Vijay Prashad, Trinity College Hartford,
9/2001). Saudita è stato anche il grande sponsor dei Talebani protettori di Bin Laden: si chiama Principe Turki bin Feisal al-Saud, ex capo dei servizi segreti di re Fahd (“Taliban”, Ahmad Rashid, 2001).

E ancora. Nel 1994
Mohammed al-Khilewi, un diplomatico Saudita presso l’ONU, chiese asilo politico negli Usa; con sé portava documenti riservati con le prove dei finanziamenti Sauditi a vari gruppi terroristici islamici, fra cui Hamas.

Al-Khilewi incontrò gli agenti dell’ FBI poco dopo, e piazzò i documenti sul tavolo, ma gli agenti si rifiutarono di prenderli (“King’s ransom”, Seymour Hersh, The New Yorker, 22/10/2001). Nel 1996 l’FBI dovette archiviare una indagine sulla World Assembly of Muslim Youth, una organizzazione presieduta da Abdullah bin Laden, fratello di Osama, e
sospettata di terrorismo. L’ordine di archiviare venne dall’alto perché “…bisognava evitare di coinvolgere la famiglia reale Saudita e di
indagare le connessioni fra i Sauditi e l’acquisizione di tecnologia nucleare da parte del Pakistan” (The Guardian, 7/11/2001).

Questo per dire che solo un gonzo può credere che bombardando i più disastrati Paesi del terzo mondo, ma lasciando intatti i grandi sponsor del terrore, si potrà mai sconfiggere il terrorismo. Gli interessi in gioco
sono altri, è evidente, e certamente non sono la nostra sicurezza come cittadini né, come si è visto, quella dei diseredati del sud del pianeta,
che sotto le bombe ci muoiono.

Infine, e non volendo trattare qui le cause del profondo risentimento del mondo islamico verso la triade Usa-GB-Israele, la vicenda di Richard Reid, l’inglese che voleva massacrare
196 passeggeri sul volo AA 63 con una bomba nelle scarpe, dimostra che gli addentellati del terrore islamico siano sparsi come povere in milioni di micro celle in tutto il mondo, occidentale e non, e prova soprattutto che
l’idea di risolvere il problema con la guerra e con i B-52 è ridicola e non merita considerazione. Solo opposizione.
Di nuovo: è questa la vera lotta al terrorismo?

Quarto punto: quali dubbie cambiali politico-economiche sono state firmate dall’Occidente per ottenere consenso internazionale a questa azione bellica?

Eccone una lista che credo si commenti da sola:
1) All’Iran: fornitura di Jeep e binocoli notturni dalla GB – promessa di cancellazione
della richiesta danni per 10 miliardi di dollari come risarcimento agli ostaggi Usa del 1979.
2) Alla Siria: nonostante sia classificato come Stato Terrorista, è stato ammesso da poco al Consiglio di Sicurezza dell’Onu come
membro temporaneo, e gli Usa non hanno posto il veto.

3) All’Egitto: promessi 26 sistemi missilistici, il Congresso Usa era contrario prima
dell’11 Serttembre.

4) All’Oman: 12 caccia F-16C, sistemi di guida missili
al laser, missili aria-aria, missili Harpoon per la marina militare e radar.

5) Al Pakistan: promessa la cancellazione delle sanzioni, ristrutturazione dei prestiti del FMI, più altri prestiti, aiuti militari approvati dal Senato Usa per la lotta al terrorismo, concessioni commerciali della Commissione Europea per un valore di 1,4 miliardi di
dollari.

6) Alla Russia: carta bianca in Cecenia e nelle repubblice musulmane ex sovietiche.
7) Alla Cina: promessa di sbloccare la vendita americana a Pechino di pezzi di ricambio per gli elicotteri Black Hawk, interrotta dopo la repressione di Tiananmen.

8) Uzbekistan: rinvigoriti i rapporti fra Bush e il presidente uzbeko Karimov (che tiene in galera 7.000 dissidenti politici), per facilitare il progetto dell’oleo-gasdotto attraverso l’Afghsanistan tanto caro alla californiana Unocal.

9) Alla Turchia: promessi prestiti dal FMI e dalla BM per 1,7 miliardi di dollari.

10) Alla Malesia: dalla GB promessi sistemi militari di spionaggio contro i
dissidenti malesi in cambio di intelligence su al-Qaeda (Jamie Wilson, Suzanne Goldenberg, Jonathan Steele, The Guardian, 20/10/2001).
D

a sottolineare che tutti gli Stati sopraccitati si macchiano da anni di efferati abusi dei più elementari diritti umani (Amensty International, Rapporto 2000).
Ancora: come può questo mercato di biechi interessi contribuire alla stabilità mondiale?

Quinto e ultimo punto: quali conseguenze avrà questa guerra (con il precedente che ha creato) sul fragilissimo (ma preziosissimo) impianto della Legalità Internazionale?

La Guerra al Terrorismo porta il sigillo di
due risoluzioni ONU: la 1368 (Condanna degli attacchi sugli Usa, 12/9/2001) e la 1373 (Contro il Terrorismo con ogni mezzo, 28/9/2001).
Nessuna delle due però sembra autorizzare quanto è accaduto in Afghanistan.
Specificamente gli articoli 2(4) e 51 della Carta delle Nazioni Unite non prevedono ciò che invece è stato fatto dagli Usa e dai loro alleati
(Michael Ratner, Center for Constitutional Rights, New York, 10/10/2001).
La guerra avrebbe anche violato l’art.48 della Convenzione di Ginevra (A.J. Chien, Institute for Social Justice, 12/10/2001). Ma c’è di più. La
tracotanza dell’azione militare alleata, che ha ignorato ogni sorta di legalità in Afghanistan, rischia di bruciare sul nascere gli storici,
seppur incerti, passi avanti della fondamentale Legalità Internazionale.

Ci si chiede infatti: con quali mezzi la Corte internazionale di giustizia potrà nuovamente sfidare i potenti del mondo, come accaduto il quando il Nicaragua ha chiesto e ottenuto la condanna degli Stati Uniti per “complicità nel
terrorismo” assassino dei Contras (John Pilger, The New Statesman, 26/11/2001) – Come potranno i giudici belgi chiamare a processo Ariel Sharon, premier israeliano, accusato di crimini di guerra per la sua complicità nella strage di 2.000 palestinesi a Sabra e Chatila (Libano) nel 1982.

Il Belgio è oggi l’unica nazione al mondo che ha dato ai propri
tribunali giurisdizione sui criminali di guerra di tutto il mondo, indipendentemente da dove si trovano – Washington concederà l’estradizione
di John Negroponte, attuale Ambasciatore Usa all’ONU, sospettato di aver coordinato per anni gli squadroni della morte del Centro America dalla sua sede diplomatica in Honduras (Noam Chomsky, Composite Interview, 21/09/2001)? Verrebbe concessa l’estradizione di Orlando Bosch, l’estremista di destra cubano implicato nell’abbattimento di un aereo di linea cubano sopra le Barbados nel 1976, con la morte di decine di innocenti (“Consistently Inconsistent”, Tim Wise, ZNet, 15/11/2001)? –

L’opinione pubblica occidentale si sta rendendo conto che Bush e Blair e altri leader, nel nome della Guerra al Terrorismo, stanno cancellando alcuni essenziali caposaldi dei diritti civili?

Sapete per esempio che Katie Sierra, una quindicenne della Virginia (Usa), dovrà comparire di fronte alla Suprema Corte dello Stato per aver espresso a scuola la sua
indignazione contro il bombardamento americano in Afghanistan?
A.J. Brown,
19 anni e studentessa della Nord Carolina, è stata agli arresti domiciliari per “possesso di materiale anti-americano”, e cioé per aver appeso in camera un poster contro Bush e la pena di morte. Caccia alle streghe?
Neil
Goffrey, 22 anni di Filadelfia, è stato arrestato all’aeroporto perché possedeva un romanzo di un autore anarchico (The Guardian, Special Report, 26/12/2001).

I tribunali militari speciali americani, illegali perché voluti da Bush il 13 novembre senza prima ottenere dal Congresso una formale dichiarazione di entrata in guerra (American Civil Liberties Union, 29/12/2001) potranno processare i sospetti terroristi sulla base di prove circostanziali o di semplici “sento dire” (The Independent, 29/12/2001)!.
La repubblica Ceca ha promulgato una legge che consente l’arresto di chiunque esprima approvazione per gli attacchi dell’11 Settembre, e il giornalista Tomas Pecina del Britske Listy di Praga è stato arrestato per
aver criticato la legge in questione (The Guardian, 26/12/2001).

Infine Alina Lebedeva, di 16 anni: è stata arrestata e incriminata in Latvia per aver schiaffeggiato con un fiore il Principe Carlo d’Inghilterra durante una sua visita al Paese. Alina protestava contro la guerra e contro la
Nato. E’ un’adolescente che rischia oggi 15 anni di galera. Infine c’è la Gran Bretagna, che dopo l’11 Settembre ha riproposto la carcerazione preventiva illimitata per i sospettati di terrorismo (Internment Without Trial), una misura di sicurezza abietta e già fallita nell’Irlanda del Nord, dove non produsse un singolo arresto di rilievo ma solo infiniti errori giudiziari.

Poche parole per concludere. I sostenitori della Guerra al Terrorismo devono rispondere a questi punti. Il silenzio o risposte incomplete
appartengono alla sfera della disonestà morale, o peggio.

Paolo Barnard

Giornalista di Report, RAI 3

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